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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Paesaggi

Narrativa

Marcel Proust (Biografia)
Tranchida Editori Inchiostro

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 26/07/2013 12:00:00

 

Marcel Proust fu un grande amante della pittura e dell’architettura, come sappiamo amava le cattedrali gotiche, ne incontriamo molte nella lettura dei suoi scritti, ed egli stesso ne edificò una di proporzioni colossali. La pittura, parallelamente, era molto amata sia da Proust sia dal suo alter ego, dapprima Jean Santeuil, poi dal soggetto che dice io nelle pagine della Recherche. Pittura talmente amata da far vivere un personaggio come Elstir che accoglie in se la summa dei pittori contemporanei a Proust, e portatore di quelle correnti che si sono sviluppate nel corso dei primi anni del Novecento e che sappiamo di forte impatto sull’arte moderna. Dunque Proust amante ma anche costruttore di architetture, e parallelamente amante della pittura ed anche pittore egli stesso. La Recherche è infatti costellata di citazioni, descrizioni, allusioni a quadri celebri, amati dall’autore, che però è autore a sua volta di indimenticabili “quadri” fatti di parole, ma non privi di colori, ombre, spessore e profondità. In questo volumetto sono raccolti alcuni brani in cui si assiste alla creazione proustiana, di luoghi, ma anche di veri e propri quadri; il lettore può saggiare le pennellate, la pastosità del colore, le suggestioni, come se stesse guardando un dipinto, ma con la possibilità, che solo la lettura può dare, di entrare nella tela, far parte del paesaggio, quasi di indossarlo e viverlo. E se la pittura fu una delle sfaccettature della mente geniale, il titolo di questa piccola raccolta “Paesaggi” va dritto al cuore di Proust. Ricordiamo come furono le passeggiate col padre e col nonno, ad ammirare paesaggi, a creare quel magico imprinting di colori, luci, suoni, profumi e sensazioni che diedero vita alla magia della pagine di Combray e che si riverberano lungo tutta la Recherche. Ma Proust non fu solo creatore di paesaggi visivi, lo fu anche di paesaggi dell’anima, invisibili ai più ma che egli fu in grado di mostrare, creando una suggestiva commistione tra quanto è reale e quanto è aggiunto dall’anima e dalla memoria, ed aggiungerei, anche dall’abitudine. Dunque Proust fu un esponente dell’impressionismo, mostrando nella Recherche, attraverso le parole di Elstir, una sorta di suo “manifesto” su cosa dovrebbe essere la pittura, ma che possiamo leggere in falsariga ammirando uno dei paesaggi letterari offerti dall’autore.

Nel volume abbiamo, innanzitutto, Nomi di luoghi: il nome, primo e sublime esempio, presente nella Recherche, di come un luogo venga trasfigurato dal suono del suo nome (Parma non designa una città dell’Emilia, situata sul Po, fondata dagli Etruschi, che conta 138.000 abitanti; il vero significato di queste due sillabe è composto da due semi: la dolcezza stendhaliana e il riflesso delle violette) sul quale vanno ad incrostarsi tutte le sensazioni e le attese, così come nella vita di un corallo, ad una base quasi invisibile ed insignificante vanno a crearsi ramificazioni sempre più spettacolari ed affascinanti. Parlando di paesaggi proustiani non posso proprio mancare le due “parti”: Méséglise e Guermantes, luoghi delle passeggiate simbolo dell’infanzia dell’autore. E simbolo dell’educazione alla sensibilità, radice e coacervo di sensazioni e sentimenti che nel corso delle lunghe notti di scrittura diventarono gusti, profumi, sentimenti e colori. Il volumetto prosegue con due brani dedicati al mare, e per mare i proustiani puntano immediatamente il dito su Balbec. Luogo d’elezione dell’impressionismo proustiano e luogo simbolo del modificarsi dell’ambiente – o della percezione di esso – in funzione del visitatore e della sua esperienza di vita. Ricordo brevemente come Balbec apparve del tutto diversa al primo soggiorno, quando alla cattedrale lambita dai flutti si sostituì una placida cittadina di mare, poi funestata da librerie a vetri e maligne vetiverie. Elementi che poi divennero familiari e anziché nemici divennero amichevoli compagni, resi mansueti dall’abitudine. E nelle deliziose descrizioni del sole e del mare, visti dalla finestra della stanza al Grand Hotel, è quasi nitido il sole che appare sul mare a sovrapporsi a quel Impression, soleil levant di Monet che tanta parte ebbe per l’impressionismo. E sempre il panorama marino di Balbec si disgrega al secondo soggiorno dell’autore, uomo totalmente nuovo, cambiato dalla morte della Nonna, prima, e dal – funesto? – incontro con Albertine. Ed immancabili, irrinunciabili, nell’ultimo capitolo, I paesaggi di Elstir a chiudere il cerchio della immane passione pittorica di Proust, generatrice di capolavori, di paesaggi dell’anima e della mente.

Concludo la breve nota su questo prezioso libello, con una citazione di Proust; spesso la geografia appare mutata nelle descrizioni paesaggistiche proustiane, non sono semplici errori o distrazioni, bensì la trasposizione terrestre e geografica di luoghi che originano dalla mente e da essa sono plasmati, collocati su una mappa che si adatta ai sentimenti ed ignora la volgarità di miglia e chilometri.

Tra parentesi quadre una parte presa dalla nota presente nel libro “Percezione e conoscenza dello spazio in Proust” di Piergiorgio Monaci, a seguire un estratto da Sodoma e Gomorra tradotto Elena Giolitti (Einaudi, 1978):

 

[ Il pezzo che proponiamo di seguito, in cui Proust coglie la modificazione della visione delle cose imposta dai nuovi mezzi di comunicazione, ci sembra che sia la dimostrazione più lampante di come Proust abbia capito in modo chiaro che per interpretare la realtà non è sufficiente la semplice descrizione “oggettiva” ma va individuata la scala di osservazione come premessa indispensabile per proseguire l'analisi e trasformare così il paesaggio-visto dei letterati in oggetto di conoscenza ].

 

Lo capimmo non appena la vettura, prendendo la corsa, superò d’un solo balzo venti passi d’un ottimo cavallo. Le distanze non sono che il rapporto dello spazio con il tempo e variano con esso. Noi siamo soliti esprimere la difficoltà che troviamo nell’andare in un luogo per mezzo di un sistema di miglia, chilometri, che diventa falso appena tale difficoltà si attenui. Anche l’arte ne è modificata, poiché un villaggio, che sembrava situato in un mondo diverso rispetto a un altro diventa suo vicino in un paesaggio in cui le dimensioni son mutate. Comunque sia, imparare che esiste forse un universo dove 2 e 2 fanno 5 e dove la linea retta non è quella più breve da un punto a un altro, avrebbe fatto stupire Albertine assai meno che non udire l’autista dirle come fosse facile andare nello stesso pomeriggio a Saint-Jean e alla Raspeliére, Douville e Quetteholme Saint-Mars-le-Vieux e Saint-Mars-le-Vetu, Gourville e Balbec-le-Vieux, Tourville e Féterne, prigionieri fin allora chiusi nella cella di giorni distinti altrettanto ermeticamente quanto, un tempo, Méséglise e Guermantes,. e sui quali non potevano posarsi gli stessi occhi in un .solo pomeriggio, adesso liberati dal gigante degli stivali delle sette leghe, vennero a radunare, intorno all’ora della nostra merenda, le loro torri, i loro campanili, i loro vecchi giardini che il vicino il bosco si affrettava a scoprire.

 


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