Il dolore è una materia oscura che si annida nel profondo dell’animo e da lì irradia le sue onde nefaste che vanno a colpire inaspettatamente punti vicini e lontani. E ancora, per dirlo invece con le parole di Cameron, lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che il tempo si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un libro, dunque, sul dolore, quello della perdita di Tony, compagno amato per il protagonista Lyle, fratello per Marian. Lyle vive l’invito per trascorrere un weekend nella casa di Marian e del marito come un segnale di svolta, ad un anno dalla scomparsa del compagno ha ricominciato a lavorare, ha pubblicato un libro che sta riscuotendo un certo successo, in più ha conosciuto Robert, giovane pittore di origini indiane che potrebbe ridargli la gioia e la serenità dell’essere amato. Ma le cose non vanno per il verso giusto, la mancanza di Tony si fa prepotente, quasi tangibile, nella casa riaffiorano alla memoria gli ultimi momenti della vita di Tony, il trapasso, la sofferenza. Ma se il giovane Robert potrebbe rappresentare una via verso il futuro, verso l’uscita dai momenti più cupi, Marian sembra voler bloccare questo passaggio. Sembra che la donna voglia mantenere in qualche modo vivo e straziante il dolore di Lyle, forse per preservare intatto il ricordo del fratello o forse per continuare ad avere la sua parte da consolatrice verso Lyle, tenendolo così in una sorta di morsa di dolore e consolazione che solo lei, depositaria di tutti i momenti principali della coppia, può alleviare o alimentare. Marian donna apprensiva, neo mamma di un bimbo, che ai suoi occhi ha dei problemi, è la chiave della vicenda, con il suo fare sprezzante e superiore riesce a mettere in difficoltà il giovane Robert ed assicurarsi la supremazia nel cuore ferito di Lyle, con l’aria ingenua ed innocente, pensando di farlo per il suo bene, di Lyle, in realtà lo fa per il bene di se stessa, per continuare ad essere – ormai – l’unica nel cuore dell’amico, e riuscire così a sentirsi importante. È un meccanismo comune quello narrato da Cameron, di amiche che in segreto gioiscono della disgrazia dell’amico per poter assumere il ruolo ambito di madre consolatrice che le rende insostituibili agli occhi del malcapitato, donando loro quella soddisfazione che non riescono a trarre dalla vita. Il romanzo è molto gradevole, ben scritto da Cameron che sta dimostrando una certa maturità, in Coral Glynn e in questo Weekend riesce a costruire luoghi e situazioni immaginari e perfettamente reali, in cui va a deporre le uova fatate delle frustrazioni, i dolori le sconfitte di ogni giorno e col tepore della sua fluida penna fa schiudere queste uova dando alla luce domande ed interrogativi che sono alla base della società stessa. In questo ultimo romanzo Cameron dà prova di leggerezza, il libro è snello, pur ammantato della forza di cui dicevo, le pagine sono venate da una buona dose di ironia, la scrittura è svelta e lieve nel tipico stile asciutto a stelle e strisce, le descrizioni dolci e garbate fanno da contrappunto ai caratteri forti di certi personaggi e la luminosità estiva che pervade la narrazione sembra voler sottolineare, in maniera nitida, le zone d’ombra, capaci di offrire ristoro e rifugio ma fitte di domande che non sempre riescono a trovare una risposta.