Negli scritti di Marcel Proust vi sono numerosissimi riferimenti a quelle che erano le mode dell’epoca, come la lettera che il narratore riceve prima di un pranzo e nella sua inesperienza delle cose mondane non sa che farsene; oppure il cappello posato per terra; e molto vi è riportato in termini di abbigliamento e moda in generale. Contemporaneamente gli scritti proustiani sono un catalogo pressoché inesauribile di opere d’arte, pittoriche, musicali, di tessuti e tutto quello che il genio creativo umano ha prodotto sino ai giorni in cui Proust era vivente ed attento annotatore di tutto quel che possiamo racchiudere sotto il termine generico di gusto dell’epoca. I lettori più attenti avranno notato che tra un cappellino e una aigrette, un concerto e un Salon, Proust non manca di elencare quel che la tavola offriva in quei giorni ai commensali. Potrei anzi dire che forse i piaceri della tavola e le ricette semplici di una colazione, o le opere d’arte gastronomica di un pranzo importante, sono un ricordo precedente a quello dell’arte vera e propria. Dalla parte di Swann, è la parte della Recherche più legata alle sensazioni dell’infanzia, e la sua tavolozza ricchissima di colori, suoni e profumi è anche fitta di riferimenti ai sapori e alle prelibatezze, sono i pasti stessi a segnare le giornate di vacanza a Combray; basti pensare al pranzo anticipato a causa della passeggiata pomeridiana più lunga, diventa quasi una “legge” che va fatta notare e rispettare anche agli estranei. Oppure è sintomatico il dubbio del giovane narratore nello scegliere quale sarà lo spettacolo in cui finalmente potrà ammirare la Berma, che è tanto lacerante quanto quello che vive a tavola dovendo scegliere tra il riz à l’Impératrice e la mousse au chocolat. La vita prende i colori del cibo ed esso è posto sullo stesso piano di una tragedia di Racine. Sorvolando velocissimamente tutta la Recherche si noteranno tavole imbandite (“con una scodella piena di una massa nerastra che ero ben intenzionato a non assaggiare. Scoprii solo più tardi che si trattava di caviale”, cito a memoria), fastosi pic nic, le tavole marine del Grand Hotel di Balbec, le specialità alimentari offerte dai venditori lungo i boulevard, i cui richiami uditi dal narratore ed Albertine, prigionieri, diventano una canzone sensuale. E gli alimenti stessi con le loro forme evocative assumono i contorni della vita segreta che si svolge dietro le persiane sempre chiuse dell’appartamento di Proust. Ed ancora, sempre da La Prigioniera, il lungo dialogo con Albertine sulle forme dei gelati e di come mangiarli, con frasi dense di riferimenti ed allusioni sessuali. Il cibo come fonte di piacere e come elemento di unità fra i personaggi, perno della vita familiare e sociale, ed anche, talvolta, ciambella di salvataggio: quando il narratore fa la sua figuraccia col signor di Norpois, Françoise salva la situazione col suo squisito Bœuf mode. Insomma spulciando la Recherche, e gli altri scritti proustiani, è possibile farsi un’idea di come si vivevano i piaceri della tavola; ma spesso, le mode cambiano e si lasciano indietro cose che si pensavano irrinunciabili. La salade japonaise che una audace Odette serve ad una cena fa scalpore perché è una novità, ma oggi ben pochi saprebbero come farla. Ecco quindi che per tutti quelli curiosi di sapere come erano fatti quei piatti, o per tutti quelli che si vogliono divertire a ricostruire una cena di casa Verdurin, o un pranzo tra ufficiali di guarnigione a Doncières, questo splendido e coltissimo ricettario. E se è Proust l’ispiratore dell’opera la prefazione non poteva che essere affidata ad un Maestro dei fornelli, oserei, un poeta della cucina, il grande chef Alain Senderens. Il libro è diviso in due parti, la prima propone dei menu legati ad un determinato “periodo” degli scritti proustiani. Si apre immancabilmente con Les saveurs de l’enfance (i sapori dell’infanzia) dove si ripercorrono i menu che il narratore gustava da bimbo, capitolo sottotitolato D’Auteuil à Illiers, d’Illiers à Combray, sottolineando così la metamorfosi dei luoghi reali in quello d’elezione, immaginario, ma comunque con le radici ben piantate nella casa della famiglia materna nei sobborghi di Parigi, e quella paterna vicino Chartres. Si prosegue il viaggio, letterario gastronomico, con una invito da Mme Odette, una merenda da Gilberte, un mercoledì dai Verdurin, il Grand Monde, le ricette del Grand Hotel di Balbec e così via. Ogni capitolo porta ampie citazioni dalla Recherche, talvolta anche dal Jean Santeuil, con commenti che analizzano e contestualizzano gli scritti in chiave sia gastronomica che sociale e ricostruiscono alcune fasi della vita di Proust. Per ogni capitolo una proposta di menu, e trovo molto divertente che ognuno possa proporre agli invitati una cena da Verdurin: una salade “Francillon” per cominciare o quella Sole à la Normande che la lentezza di Mme Verdurin fa raffreddare facendogli accusare il cameriere di essere troppo precipitoso nel servizio. Oppure nella bella stagione si potranno ricreare i sapori di quelle lunghe cene che il narratore trascorreva a Rivebelle con Robert de Saint-Loup. Ognuno potrà ricreare i piatti grazie alla seconda sezione del libro, quella delle ricette, appunto. Ogni piatto è minuziosamente descritto ed accompagnato da una citazione proustiana, cosicché organizzare una cena letteraria dedicata all’amatissimo Proust sarà alla portata di tutti – o quasi.
Il volume è molto ben realizzato, oltre alla dovizia di materiale letterario ha numerose foto molto belle, appositamente realizzate, che contribuiscono a ricreare il sapore di un’epoca andata ma non perduta, tuttora palpitante nei nostri cuori grazie all’immenso edificio costruito da Proust e che ospita anche una cucina.