Mi raccogliesti da terra che stavo
in una fiala imprigionato e folle:
convinta fosti d’un botto ch’io fossi
ode in etere, si che tra le dita
per inalarmi spezzasti il vetro.
Ne fui lusingato e mi illusi al punto
di credere d’esser davvero, d’una
ode, l’essenza che inspirata ispira:
verso a verso, strofa a strofa
declamati fumenti terapeutici.
Per nari risalendo il tuo respiro
ti fui al cuore e poi, in un flash, nella mente.
Così mi arrivasti anima che frange
sortilegio di prigione vitrea.
Così arrivai a te essenziale come aria
di poesia che brezzando sfoglia
petali d’ un fiore di chissà quando.
A confessarti arriverò un di, forse:
un errore fu a mutarmi in essenza
ialinica, rimpicciolito in vitro
maldestro apprendista stregone astruso
dimentico della formula inversa.
Almeno, questo penso a mia discolpa:
si sa già come van le cose, vanno
come devono andare. Si che, fuori
come me, sfuggono dal vetro infranto,
d’errate convinzioni amore affranto.
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