Poche ma intensissime pagine per raccontare la parabola di una mente che si fa preda della follia, dell’abbandono e di una depressione senza fine, alimentate da una amara solitudine. La narrazione procede spedita e ferrea, con i vagoni che col loro passaggio notturno, carichi di misteriosi suoni e di vaghi simboli tracciati con la vernice rosso scuro, fanno breccia nella mente del protagonista. La prima parte del racconto si apre con l’immagine di una stazione nella morsa della neve, e del viaggio del personaggio principale verso il compimento del suo destino; il viaggio è raccontato in modo sublime con rapide pennellate, dense di colore, ricorda le aeropitture futuriste in cui i particolari sono nitidi ma stravolti dalla velocità, ne indicano l’irrefrenabile energia, immersi in un contesto urbano che viene modificato dal movimento stesso. Tra il viaggio in treno e l’epilogo, troviamo l’antefatto che ci presenta il protagonista, il signor Samson, dare i primi segni di cedimento mentale, il suo essere sempre racchiuso in spazi angusti, solo di una solitudine tutta urbana, compresso fra cose, persone, doveri, ma senza nessuno realmente vicino. La follia si fa strada nella vita di Samson, così come i vagoni rossi del titolo transitano ogni notte sotto le finestre della stanzetta in cui vive, inesorabili e potenti, e più egli li vuole rifuggire più se li trova confitti nei pensieri e costretto in ambiti sempre più angusti, senza riuscire a liberarsi della presenza di vagoni reali e simbolici, carichi di quella umanità che lentamente erode la mente e logora le capacità di raziocinio. Avviandosi verso il finale la narrazione si fa più cupa e frammentaria, le immagini emergono a tratti da una massa in continua involuzione, dando perfettamente l’idea di quanto accade nella mente malata, e ormai annebbiata di Samson. Il finale, direi filmico, narrato quasi con una sorta di intermittenza, dona, chiara, l’immagine degli ultimi, convulsi, battiti cardiaci. Il male di vivere del signor Samson fu tratto dominante dell’esistenza dell’autore del racconto, Stig Dagerman, che infatti morì suicida, con i gas di scarico dell’auto, a soli 31 anni. Nei vagoni possiamo intravedere i prodromi della morte attraverso un mezzo meccanico, simbolo della società inarrestabile nella sua corsa e che non ha tempo né voglia di fermarsi a raccogliere il più debole, chi è in difficoltà, ma che col suo incessante movimento tutto travolge. Un breve racconto capace di schiudere un mondo in poche, incalzanti pagine, bello e intenso da togliere il fiato. Completano anche questo bel “quadernodiviadelvento” una acuta nota, “Una scrittura di passioni” e una breve biografia di Dagerman, entrambi a cura di Marco Alessandrini che è anche il traduttore e a cui vanno i miei complimenti.