Il libro si compone di tre racconti, il primo, più lungo, dà il titolo alla raccolta, gli altri due sono più brevi: Il sugo di coniglio che faceva mia madre, e È caduta la neve. Nei tre racconti sono evidenti, la grazia quasi poetica con cui Australi costruisce le proprie storie, le leggere pennellate di sensazioni e colori, appena sfumati, che compongono le linee portanti di quanto scritto. Il testo appare aereo e aggraziato, come un volo di aquiloni, che leggeri ed indipendenti seguono le spire del vento, senza mai perdere il loro legame con la terra con colui che tiene l’altra estremità del filo. Allo stesso modo, nei racconti vi è un’estremità del filo ben ancorata al mondo, ma l’altra è libera di vagabondare nel cielo in voli incontrollabili e liberi, che nessuno sa prevedere o indirizzare. Così accade ne Il sugo di coniglio che faceva mia madre, in cui un vuoto non apparente fatto di gite domenicali e dell’abbaiare di un cane si riempie, improvvisamente, di un lontano profumo e dell’immagine di una madre intenta ai fornelli, sepolta da chissà quanti anni e chissà dove, ma sempre pronta a librarsi in quello che Proust definiva l’immenso cielo del ricordo. Ed è sempre fatto di ricordi il cielo del protagonista del terzo racconto, che si perde in una tormenta di neve ma ancor più si perde nel turbinio dei ricordi, i quali sembrano riempire un mondo vuoto dandogli un nuovo spessore ed un nuovo aspetto, così come la neve cambia magicamente il panorama circostante. Di questo racconto amo pensare che il protagonista si addormenti nella macchina e resti sommerso dalla neve per sempre, chissà perché, e soprattutto non me ne voglia l’autore per aver aggiunto una mia personalissima appendice al suo racconto. Ed è nel primo racconto, il Title Track, che questa caratteristica dei vuoti e dei voli si fa più evidente. L’autore, qua, veste i panni di una madre, la quale in seguito ad un incidente si ritrova senza lavoro, in un vuoto legato al presente, soprattutto attraverso il dolore. Questo vuoto si riempie via via di ricordi, riprendono vita il marito e il figlio come furono negli anni precedenti. La vita della donna acquista così una nuova leggerezza, capace di fronteggiare la pesantezza della sua situazione, facendola volare negli spazi siderali del ricordo, del passato che si è andato stratificando inosservato lungo il corso degli anni. Ed ora quel passato è lì pronto ad essere letto e riletto dalla donna nel suo nuovo presente di donna disoccupata, con delle giornate da riempire, ove forse la follia fa capolino, o si tratta solo di una differente consapevolezza. Nel racconto Vittoria e altre storie di volo, affiorano qua e là reminiscenze kunderiane, legate alla celeberrima leggerezza dell’essere: quando la vita si carica di un fardello troppo grave, l’essere, il sé, sente il bisogno di librarsi al di sopra di tutto, acquistando così una inedita leggerezza, insostenibile poiché alimentata da un peso troppo grande. Ed il peso troppo grave per Vittoria è il vedere la propria vita svuotarsi, del lavoro, del figlio, di certi gesti del marito, avverte il peso che acquistano i ricordi e tenta la fuga verso l’alto, il suo essere si libra, come aquilone. Una raccolta molto ben realizzata da Angelo Australi, dai toni eleganti e col vezzo di qualche frase dialettale che non fa altro che mettere in risalto la preziosità della scrittura che appare così costellata di gemme che non passano inosservate, ma senza disturbare il lettore. Agli accenni poetici cui facevo riferimento non mancano i tratteggi psicologici dei personaggi, creando così una trama variegata e ben cesellata che si legge come ci si lascia scompigliare i capelli dal vento.