Rimembro ora gli occhi di cielo e cenere tuoi,
anelando l’attimo per scavare,
senza fine temere giammai di un desio
né ignorare se ancora esiste
la natia policromia di un mare
che solo scrutare sa uno sguardo cieco.
Eppure il mio fato pare già spento
giacché nelle parole, la vita nostra s’è persa.
Era ieri quando un’utopia danzava
e la mano lieve l’amore feriva,
così come una fiamma sul manto della sera,
scivoli nella grazia d’una breve carezza,
tu, amabile brivido tenue.
Ecco, oggi effimere orme io vedo:
poiché sempre fiorisce l’origine di un’anima
ove nulla dice la voce o la penna bianca,
pur se rapita al suo stanco inverno.
Suvvia più non fuggire,
poiché anche dalle pagine di un’età morta,
s’alza un’idea che al cuore sussurra
le sue eterne sirene al bivio, tra cielo e terra.
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