LA CONOSCENZA SUL BRIVIDO
Note su Notizie dal 72° parallelo di Alfredo Rienzi
di Dario Capello
Parola oscura e penetrante, questa di Alfredo Rienzi, parola che cerca la strada attraverso i gradi dell'ombra. E tuttavia invoca una luce che, per contrasto, riveli, come una visione. Quello dell'ombra è un cammino (uso con intenzione questo termine dantesco), un itinerario di conoscenza che intercetta e snida le mille maschere, ne rivela il carattere provvisorio, inautentico:
“...e ricordi le maschere che a caso / abbiamo scelto e posto innanzi al volto?”
Ma avviene che i fantasmi del giorno siano più inquietanti dei fantasmi della notte, quando sorgono da un vuoto insondabile. E' quel genere di vuoto che Rienzi conosce per istinto, e che può coincidere col Vuoto su cui riposa il segreto del mondo, secondo l'indicazione taoista. Il poeta sa
anche che per evocare l'idea e la perfezione del vuoto non può che servirsi di un pieno di segni e parole. Di parole “che si nutrono di parole”.
Poeta colto, insaziato e visionario, Alfredo Rienzi. Per meglio dire, poeta anche e non solo visionario. La sua parola è meditata, carica di lunghe attese, di tensioni antiche, immutabili. Un “alfabeto estinto” che poi un guizzo, un pensiero accende. Ne deriva, almeno per lunghi tratti, un clima magmatico, più vicino al demonico di un Gèrard de Nerval che al turbinio di saette rimbauldiano. Penso qui a una poesia tra le più intense, esemplare di questa stimmung: Il ladro, dove la potente scena del Golgota è filtrata dalla voce - o dalla maschera? - del ladrone poeta, del poeta ladro di fuoco:
“Io sono il ladro e vengo / in mezzo a voi con la maschera scura”
“Io sono il Tenebroso, il Vedovo / l'Inconsolato” era l'incipit di Nerval che qui fa da modello. E tuttavia Rienzi pare più disincantato, attento a non lasciarsi irretire dagli effetti e da una certa enfasi ancora presenti nelle poetiche romantico simboliste. Comunque, anche qui, come in Nerval e in Rimbaud, Io è un altro. “Il nome s'è spogliato”. È divenuto un nome difficile da pronunciare, il soggetto nascosto dagli stessi innumerevoli ruoli che ha finto di rivestire. Sine nomine. Per non essere schiacciato dal peso del nome, Rienzi ricorre a una strategia. Il mimetismo degli eteronimi, lo scambio sciamanico delle identità. “Scrivere” dice Blanchot “è scongiurare gli spiriti, e forse liberarli contro di noi.” Doppio movimento, esorcismo rovesciato. Ben avvertibile nella poesia di Rienzi, ancor più se si pensa al brivido che viene da quel rimbalzo continuo tra il dentro e il fuori. Un dentro inconoscibile, intravisto come “cuore occulto”, e un fuori fluttuante d'instabilità, ugualmente inconoscibile:
"sì, c'era la luce, e forse anche troppa / e rendeva incerti i bordi delle ombre”.
E' il lavoro dell'ombra intorno all'ombra. Un lavoro sui confini sfrangiati dal continuo attraversare che finisce per assomigliare a un tessere.
E' la conoscenza del brivido.
Dario Capello
Luglio 2018
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