A quale stagione appartengo, madre?
A quale luogo? A questo temporaneo,
caduco fiorire, a questa luce materna,
a questo rimbalzare di campane in lontananza?
Oppure appartengo al mio ambiguo regno,
al mio matrimonio con le tenebre?
Madre, perdona la bestemmia eppure
nel mio scuro inverno non soffro
la tua mancanza. Laggiù sono regina.
Il sesso di Ade è privo di gentilezze
ma non è gentilezza che cerco
nel nostro letto regale.
La primavera mi entra nel cuore,
l'inverno nella vagina. Nello stesso morso
inghiotto verme e mela.
Quello che vorrei dirti, madre,
della tua primavera
lo dice la primavera stessa.
Per accoglierla è necessario avere fede
più che ragione. Ascoltarne la voce,
chiara, scandita nel frastuono
di questo orizzonte, di questo vento
che precipita dai monti
e mi confonde. Ho l'impressione
che gli occhi non sappiano reggere
tanto fiorire, tanta vita celeste,
tanto farsi e disfarsi di nubi.
Mi smarrisco a guardarle, a guardare
i solchi inferti ai campi dall'aratro
per aprirli al dono del pane.
Impossibile pensare al solco
senza immaginare l’onda del vento
che farà traboccare il grano.
Perduta tra prati e rogge
mi domando
a quali altezze cominci il cielo.
Se sia necessario
sollevare gli occhi per comprenderlo
o già nel respiro io stessa sia cielo.
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