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Nel terzo centenario di Raimondo di Sangro

Argomento: Storia

di Lino Lista
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Pubblicato il 17/02/2010 15:39:54

Nel terzo centenario di Raimondo di Sangro
Fonte:Rivista Episteme Forum


Il Principe e gli Accademici
La Massoneria napoletana è in fermento: nel 2010 ricorrono i trecento anni della nascita di Raimondo di Sangro. È un personaggio noto, il settimo Principe di San Severo, a Napoli e altrove; egli non è famoso, però, perlomeno nell’accezione positiva del termine. Quella di Raimondo di Sangro è una fama fosca, diffusa per lo più da leggende metropolitane, mitologie esoteriche e testimonianze di orientamento massonico, le quali tendono tutte a fissarsi prioritariamente sugli aspetti misteriosi della sua esistenza piuttosto che sulle certezze documentali. L’analisi dei testi scritti dallo stesso Principe (che fu un Accademico della Crusca) e lo studio critico delle fonti letterarie settecentesche che di lui hanno narrato, al pari del problema dell’autenticità di numerose affermazioni sul suo conto, non hanno trovato ospitalità negli Atenei, nemmeno in quelli napoletani. I docenti universitari (mi riferisco agli indipendenti), d’altra parte, eccettuato qualche storico dell’arte e una sfuggente quanto striminzita prefazione del professor Giuseppe Galasso alla monumentale opera di Lina Sansone Vagni[1], si tengono ben distanti da don Raimondo. Il quale don Raimondo, però, in un recentissimo sondaggio sul Settecento napoletano associato al ciclo “Napoli. Lezioni di Storia”, si è preso una gran bella rivincita, giusto nell’imminenza del terzo centenario. Il Principe di San Severo, infatti, nell’indagine ha conquistato la terza posizione dopo Giambattista Vico e Carlo III, addirittura precedendo Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giovambattista Pergolesi, Domenico Cimarosa, Pietro Giannone, Alessandro Scarlatti e altri. Roba da far impallidire gli accademici che da sempre lo ignorano.
Perché questa damnatio memoriae degli storici veri? Interessarsi di Raimondo di Sangro in modo storico-scientifico e non di parte, c’è da sospettare, significa necessariamente confliggere con i teorici della Massoneria e questo, forse, a molti non appare utile.
Nel terzo centenario della nascita sarebbe, se non utile, storicamente interessante ricercare se veramente Raimondo di Sangro fu un frammassone o, al contrario, se non fu egli l’esecutore di un piano ordito contro la Massoneria del Regno Due Sicilie. I “gran rumori” del 1751, perlomeno questi, sono noti agli studiosi: papa Benedetto XIV, riprendendo una Lettera Apostolica del suo predecessore Clemente XII, il 18 marzo riaffermò nella bolla “Providas romanorum” la scomunica dei già numerosi e potenti massoni. Il 10 luglio del 1751 Carlo III promulgò a sua volta un editto contro le “conventicole”. Il Principe di San Severo, capo dei Liberi Muratori ma anche colonnello dell’esercito borbonico, per di più discendente di una famiglia che annoverava nel suo seno sant'Oderisio e santa Rosalia, obbedendo agli ordini ricevuti, consegnò al Re la lista dei Liberi Muratori aderenti alle Logge del Regno. La rivelazione dei nomi causò l’annichilimento della Massoneria napoletana, perlomeno fino all’avvento di Ferdinando IV di Borbone e di Maria Carolina d'Austria.
I massoni contemporanei, interessati a mantenere nel proprio gotha un personaggio del rango intellettuale del Principe di San Severo, sostengono la tesi che Raimondo di Sangro fu costretto alla delazione e che, in ogni caso, in primo luogo nella lettera di abiura della Massoneria inviata al Papa, egli si prodigò per evitare pesanti condanne agli iscritti, giungendo a mentire sull’effettiva pericolosità della Logge. Effettivamente, nella lettera a Benedetto XIV, don Raimondo scrisse: “Non riscontrai affatto [nelle assemblee dei Confratelli] alcuna cosa viziosa, se non in molte piuttosto ridicole ed insulse, cioè in certi enigmi, sotto i quali ciascuna bagatella alla Società appartenente li nasconde...”. Il Principe, quindi, non si limitò a smentire la pericolosità dei massoni: li giudicò ridicoli e insulsi nei loro riti simbolici.

L’epistola del Rapportatore
“Compie in questo corrente mese di luglio appunto un anno, Santissimo Padre, che un ragguardevolissimo Cavaliere della Corte del mio re Carlo Borbone, col quale avea gran dimestichezza, secretamente parlandomi, m’invitò ad entrare nel ruolo di coloro che volgarmente Liberi Muratori son detti... ”.
L’epistola di abiura inviata al Papa, dalla quale è tratto il su citato brano, porta in calce la data del primo agosto 1751. Raimondo di Sangro, quindi, di proprio pugno, affermò di essere stato nel ruolo dei massoni appena un anno (dal ventidue luglio del 1750, per la precisione). La permanenza in Massoneria per appena una dozzina di mesi, quando sia contestualizzata, appare sospetta. Non bisogna dimenticare, infatti, che Raimondo di Sangro ebbe legami di discendenza e di amicizia con importanti personalità della Chiesa e fu un alto ufficiale dell’esercito di Carlo III. Quegli anni furono segnati dalla diffusione delle idee illuministe (su scala europea, mediante il Prospectus e il primo volume dell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert), idee propagandate dai massoni i quali già avevano dichiarato la loro ostilità “ai Troni e agli Altari”. Un principe che si fa libero muratore giusto pochi mesi prima del rilancio della bolla di scomunica, che nel giro di un anno diventa Gran Maestro e subordina alla propria le altre Logge del Regno, che s’impossessa dei nomi di tutti gli iscritti e li consegna al Re, non può fare a meno di suscitare il dubbio di un complotto[3]. È, questo, probabilmente, il motivo per il quale in numerosi testi di orientamento massonico si osserva, a discapito della dichiarazione del diretto interessato, la retrodatazione dell’affiliazione di Raimondo di Sangro. Per quanti sforzi siano stati fatti, però, non è stata trovata una prova documentale seria dell’esistenza a Napoli, anteriormente al 1745 o addirittura al 1749, di Logge diverse da quella fondata dal francese Louis Larnage[3], giusto la Loggia della quale era divenuto Gran Maestro Francesco Zelaja, il “ragguardevolissimo Cavaliere della Corte” del re Carlo Borbone citato nell’epistola al Papa. Francesco Zelaja, dopo aver arruolato Raimondo di Sangro, si fece da parte lasciandogli il governo della Loggia. Sta in questa investitura la risposta più logica all’interrogativo che si pongono gli stessi massoni: come riuscì il Principe, in appena un anno, a diventare, da semplice affiliato, Gran Maestro e capo della Libera Muratoria del Regno? Una possibile risposta è molto semplice: la Loggia di Larnage – il quale era stato esautorato dalla sua stessa associazione – fu infiltrata da elementi fedeli al Re, primo tra essi Francesco Zelaja.
Raimondo di Sangro fu, con il nome di “Esercitato”, Accademico della Crusca. Occorrerebbe leggere da questo punto di vista, e non da altri di natura ideologica, la lettera inviata a Benedetto XIV. In essa si potrebbero scoprire – è sufficiente un’ordinaria analisi testuale – alcune incredibili chicche. Una strana circolarità del testo, in primo luogo. "Compie in questo corrente mese di Luglio appunto un anno, Santissimo Padre, da che un ragguardevolissimo Cavaliere della Corte del mio Re Carlo Borbone col quale avea gran dimestichezza, secretamente parlandomi m'invitò ad entrare nel ruolo di coloro, che volgarmente Liberi Muratori son detti". Questo è scritto nell’esordio, già citato. “.Ma alla perfine dall’ottimo, e Prudentissimo nostro Re, cui più che ogni altro sta a cuore la quiete dei Popoli, e la volontà del Pontefice, talmente è stato a quest’affare provveduto, che ne sarà senz’altro per perire fin anche il nome presso dei Napoletani, né potrà mai ripullularvi”. Quest’altra è la chiusa. Da un Cavaliere della Corte del Re il Principe fu invitato a entrare nella Massoneria, dall’ottimo e Prudentissimo Re è stato a quest’affare provveduto. E l’augurio finale ai Liberi Muratori di non “ripullularvi” davvero non pare formulato da un Gran Maestro che sta ritrattando, piuttosto sembra l’epilogo di un protagonista che ha contribuito “a provvedere all’affare”.
“Costantissimo e prudentissimo Pontefice, né troppo facile accoglitore di Rapportatori” sono gli appellativi con i quali Raimondo di Sangro si rivolse a Benedetto XIV nella lettera di abiura della Massoneria: prudentissimo, identicamente a Carlo III, e ben ce n’era il motivo di essere prudenti, in quegli anni.
Un Rapportatore, nel vocabolario degli Accademici della Crusca, è una quasi spia. Per lungo tempo Raimondo di Sangro fu considerato traditore e spergiuro dai massoni, prima di essere idealmente e convenientemente riassorbito – post mortem – nella fratellanza.
Ai nostri giorni potremmo definire un Rapportatore con un vocabolo più rispettoso, ossia come addetto militare ai servizi per la sicurezza di uno Stato. Invito gli studiosi della Cappella Sansevero a confrontare la scultura del “Dominio di se stesso” con l’iconologia di Cesare Ripa finanziata dallo stesso Raimondo di Sangro[4]: essi potranno verificare che nell’Iconologia non è “il Dominio di se stesso” a trattenere un leone stando in abiti militari bensì “la Ragion di Stato”.


Note
[1] L. SANSONE VAGNI, Raimondo di Sangro principe di San Severo, Ed. Bastogi, Foggia, 1992
[2] La tesi del complotto è sviluppata, seppure in forma romanzata, nel mio “Raimondo di Sangro. Il Principe dei veli di pietra”, pubblicato dalla Bastogi. Ho ritenuto opportuno ripresentarla, nel terzo centenario della nascita di Raimondo di Sangro, in forma critica, sintetica e meno fantasiosa.
[3]Per retrodatare l’adesione di Raimondo di Sangro alla Massoneria, in numerosi testi si ipotizza l’esistenza di Logge napoletane addirittura prima di quelle toscane, sin dal 1728. Qualcuna di queste è collegata a un ipotetico viaggio a Napoli del musicista massone Francesco Saverio Geminiani. Le prove e argomentazioni a favore di tal esistenza, però, appaiono labili e poco convincenti. In ogni caso, anche volendo ammettere che sia esistita una Loggia antecedente a quella di Louis Larnage, non si comprende per quale logica si debba considerare non credibile l’affermazione di Raimondo di Sangro, secondo il quale la propria militanza durò soltanto un anno. Una simile falsa asserzione in una lettera rivolta al Papa, d’altra parte, in quei giorni nei quali centinaia di massoni correvano “a pentirsi” dai confessori per ritrattare la loro adesione alla Massoneria e sfuggire a pesanti condanne, in un tempo nel quale i Gesuiti avevano un enorme potere anche informativo nel Regno di Napoli, sarebbe stata oltremodo rischiosa.
[4]Il Dominio di se stesso è al collegamento:
http://www.humi.keio.ac.jp/~matsuda/ripa/catalogue/ripa_illus_html/043k0265w.html;
La Ragion di Stato è al collegamento:
http://www.humi.keio.ac.jp/~matsuda/ripa/catalogue/ripa_illus_html/043k0346w.html


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