Pubblicato il 18/05/2008
Da qui bisogna cominciare: il cielo. Finestra senza davanzale, telaio, vetri. Un'apertura e nulla più, ma spalancata. Non devo attendere una notte serena, né alzare la testa, per osservare il cielo. L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre. Il cielo mi avvolge ermeticamente e mi solleva da sotto.
Persino le montagne più alte non sono più vicine al cielo delle valli più profonde. In nessun luogo ce n'è più che in un altro. La nuvola è schiacciata dal cielo inesorabilmente come la tomba. La talpa è al settimo cielo come il gufo che scuote le ali. La cosa che cade in un abisso cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciose, infuocate ed eteree, distese di cielo, briciole di cielo, folate e cataste di cielo. Il cielo è onnipresente perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio il cielo, evacuo il cielo. Sono una trappola in una trappola, un abitante abitato, un abbraccio abbracciato, una domanda in risposta ad una domanda.
La divisione in cielo e terra non è il modo appropriato di pensare a questa totalità. Permette solo di sopravvivere a un indirizzo più esatto, più facile da trovare, se dovessero cercarmi. Miei segni particolari: incanto e disperazione.
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