Apparsa nella collana di ‘poesia politica e civile’ Epos, questa nuova antologia poetica di Salvatore Violante prende spunto da un accadimento geologico, avvenuto in illo tempore, dell’eruzione vulcanica del Vesuvio, la cui polvere lavica ricopre, nella psicologia campana e nell’idea concettuale del poeta, i substrati generazionali fino ai giorni nostri, sviluppando una ‘meccanica’, reiterata nel tempo, che tutto tempra: la storia antica e recente, l’ambiente e i suoi abitanti, le favole e i miti ad esso legati, le menti e i pensieri, le poesie e le canzoni partenopee. ‘Meccanica’ che, a sua volta, diviene comportamento, interazione, sperimentazione, variazione di ‘valori discreti’ detti ‘quanti’, che fungono da base a nuovi sistemi filosofici dove, per esempio, la ‘luce’ è descritta solo come un’onda e la ‘materia corpuscolare’ solo come particella, entrambe proprietà di un dualismo che irrompe nella lirica di Salvatore Violante stravolgendone la scrittura, nell’indeterminazione di un lessico entrato nella forma-poesia-canto partenopea, che è quella del ‘carme’ declamatorio, enfatico, impetuoso e fin troppo appassionato. Forma che s’avvale d’una lontana proprietà ieratica, intuitiva quanto arcana, maturata sotto la lava, ‘le pietre nere’, provocatorie di una struggente passionalità che coinvolge, esaspera, esacerba e talvolta logora le potenzialità psichiche dell’intelletto e dell’ingegno, per cui talora se ne è travolti, logorati da quell’ ‘appucundria’ che qualcuno ancora oggi traduce con ‘malinconia’ ma che può essere anche nostalgia, noia, mal di vivere, mal d’amore, insoddisfazione, solitudine, ed anche tutte queste realtà insieme, e che alla fin fine uccidono la quella che è da sempre considerata la ‘filosofia’ tipica di chi le subisce. Salvatore Violante è mago in questo, ha rivestito la filosofia di un alone di mitica osservanza nel formulare i suoi ‘carmi’ contrapponendoli all’interno di un ‘dualismo di valori discreti’ soffusi qua e là di umana pietà, quando si rivolge al passato, nulla negando al futuro che lo aspetta – che ci aspetta, quando affronta la dura realtà che ci sovrasta. Leggere queste liriche lo ammetto, non è stato un diversificare le mie letture navigate, bensì un impegno civile, un destreggiarmi inconsueto in acque agitate che non lasciano intravvedere il fondo e che pure rimandano, quasi specchiate, immagini di un ‘sé’ obliterato. Non la speranza mistica del poeta quindi, né l’audacia tipica dell’eroe combattivo che ci si aspetterebbe da un impegno preso, bensì l’imprudenza umana, la sconsideratezza di chi ‘ama’ la vita, in qualunque veste essa si presenta, anche nella forma ‘quantistica’ dell’appucundria che riempie, colma, occupa; o nell’indeterminazione di ciò che realmente siamo, impegnati nelle avventure che spettano al nostro futuro.