Devo confessare una mia naturale – e culturale – ritrosia verso i libri che si preannunciano di stampo diaristico e nei quali agli avvenimenti di una vita, o parte di essa, vi siano intrecciati degli elementi riconducibili più al catechismo che a un romanzo o ad una raccolta di racconti. Devo anche aggiungere, a mia parziale discolpa, che, avendo in assoluto dispregio chi è bigotto, di idee fondamentaliste e talebane, ottuso verso quelle degli altri, mi pare assurdo fare in egual modo e restare arroccato sulle mie posizioni. Ordunque, è il caso in questione. Il nostro Luca si descrive una persona credente che prega, unendo il titolo – evocativo – dell’opera ai due elementi biografici, mi sono detto, eccone un altro. Ma per quanto su esposto ho intrapreso fiducioso e senza preconcetti la lettura. Quel che mi sono trovato davanti è stata una bella raccolta di racconti, scritta con semplicità, dal linguaggio misurato, senza cadute e senza grandi pretese, in cui l’autore dimostra una buona tenuta di scrittura e soprattutto una capacità di raccontare in modo delicato e lineare. Il testo denota anche un buon lavoro di cesello, non vi sono parti inessenziali, e una buona revisione, infatti il libro si presenta scevro di svarioni e strafalcioni che spesso accompagnano le opere prime edite da editori minori. E fin qui, per quanto riguarda il testo, tutto bene, un punto a favore di Luca. Dal punto di vista dei contenuti, emerge, forte, una ricerca di fede, un voler comunicare la propria appartenenza religiosa, ma prendendone il lato più bello, nobile e condivisibile; vi è più volte, infatti, sottolineata la volontà del voler aiutare, dell’empatia, e del mettersi a disposizione dell’altro, di chi sta peggio. Complice la professione dell’io narrante (immagino anche di Favaro), cioè l’infermiere, professione che tende spesso a far scivolare il malato in una massa indistinta di numeri e terapie da somministrare, ma non è così nel nostro caso, il malato è una persona da seguire, aiutare, finanche da amare. E, come accennato, la fede, la ricerca di essa o il goderne, entra con forza fra le pieghe del libro; a titolo esemplificativo, vi è un racconto sul ritorno di Gesù sulla terra, oggi e a Roma, capitale – anche – del cattolicesimo. In queste pagine si manifesta forte la speranza dell’autore, il ritorno del Messia fra noi allo sbando, colpisce con estremo piacere il sottolineare la cecità delle gerarchie vaticane nel riconoscere colui che in fondo è il fondatore della medesima. E così anche il miope bigottismo è scansato dall’autore il quale non si lascia accecare dal fumo delle candele ma giunge diretto e con forza al suo ideale. Nella raccolta non mancano momenti di delicata innocenza, come nel passo in cui il protagonista riceve una lettera direttamente dalle mani di Dio, ma non si tratta di una caduta, è il sottolineare il desiderio una fede semplice, diretta, un rapporto con l’altissimo, scevra da interposizioni mondane e gerarchiche. Non mancano ampi accenni di amore e ammirazione della natura che donano un respiro ampio e allargano l’orizzonte narrativo, ed accenni ad un soprannaturale un po’ casareccio come la strega che si trasforma in fata nel primo racconto, nel quale, tra l’altro si mischia maggiormente un sogno fanciullesco, ai limiti del fetish e che fa tentennare un po’ le prime pagine, ma la nebbia presto si dirada e la scrittura scorre limpida e nitida. Se mi fossi fermato alle mie ideologie e ai miei preconcetti mi sarei perso 159 pagine di delicata e piacevole lettura… ma forse è anche questo uno dei messaggi del libro: aprire la mente. Ed è il mio augurio pasquale.