Giorgio Bonacini o … l’algoritmo della ‘poesia descrittiva’ contemporanea.
Nello specifico metaforico del linguaggio musicale la ‘poesia’ abbraccia l’idealità del ‘suono puro’ che sta all’origine dell’armonia di fondo, di prevalenza variabile piuttosto che statica, nell’indugiare osservante di una partitura. Suono quindi, partecipe di quella mobilità simbolica che ogni ‘variazione sul tema’ apporta in forma creativa allo svolgimento narrativo di una sinfonia corale ...
“Dalla concentrazione pura / le prime parole emergono con una velocità / senza fretta - come se si dovesse / contemplare l’estraneità dei fiori / nella ripetizione di un principio insoddisfatto …”
Contestualmente a: “Si pensa allora a un’alternanza di rugiade / a un oscuro lavoro di meditazioni / nella similitudine terrestre …”
Formula quella della ‘variazione’ che accomuna all’afflato poetico, per definizione ‘cantabile’, la verbalità per eccellenza ‘orale-narrativa’ della scrittura tensiva di Giorgio Bonacini, che trova nella ‘epitasis’ greca quello che ben possiamo definire l’algoritmo della poesia simbolico-descrittiva che lo contraddistinge, la cui tensione espressiva egli spinge in modo del tutto personale nell’imperfetto contemporaneo ... “Trilli / fonòfoni / e suoni / e quanda’anche / cervello / arzigogoli / chiari / il pasticcio / neurotico / e cerebro”.
L’insolita chiave di lettura matematico-filosofica delle ‘performance poetiche’ che l’autore mette in atto, palesa un officiare ‘verità obliate’ che rispondono al richiamo degli elementi in natura che, una volta evocate, si dispongono secondo ‘combinazioni concatenate di locuzioni’ per una esibizione integrale di se stesse, dando senso all’indecidibile derridiano, ineffabile e indefinibile del “..perché si rannuvola il cielo / ad esempio” …
“È quindi impossibile / perdere il senso / di roccia nel vento / l’immagine attende / e si vede la calma / si forma l’inganno”.
Secondo la teoria introiettata dall’autore di “Quattro metafore ingenue” (*), la ‘poesia’, quando osservata da vicino, s’avvale di un’autonomia essenziale che la rende ‘invisibile’, (da cui l’inganno), in ragione di una sospensione del tempo che la proietta verso una soglia estrema, irraggiungibile, tuttavia partecipe di quella ‘esistenza interiore’ precipua dello spirito eletto …
“I rami che si staccano dai rami / cadono / e non ci dice più nulla / della loro caduta / il loro schianto / sensibile”.
Conformemente a: “L’artificio è equiparabile / al mio sguardo / un astratto rinnovarsi / di andature / in carreggiate fisiche”.
La reminiscenza di qualcosa ch’è stato e che invita alla meditazione di quella ‘conoscenza primaria’ che fa da cassa di risonanza al silenzio che tutto avvolge: ‘il silenzio del sacro’; il cui pieno coinvolgimento porta alla separazione dello spirito (soprasensibile) dall’intelletto (sensibile), emotivamente insostenibile in quanto antròpico dell’umano sentire.
Ne scaturisce una sorta di ‘discantus’ che nel linguaggio musicale assume forma polifonica del canto, consistente nell'aggiunta di una ‘voce’ in moto contrario all'andamento uniforme e parallelo dell'organum primitivo che si colloca al di sopra del canto dato, per un dialogo diretto con un ‘ipotetico prescelto’, relativo all’ego creativo dei sogni, ma …
“La saggezza dei sogni è diversa / trascorre / la sua nitidezza e dilegua/ Nel sonno / la perdita è tutto / la dissipazione stupenda / lo squilibrio abissale […] Immancabile scorre inesausta / la sapienza dei sogni.”
La forma del ‘discantus’ si inserisce qui, fra gli interstizi lasciati dalle parole, come suono a se stante, pulito e inequivocabile, di un risentimento di avvenuto distacco che risponde a una intenzionalità superlativa d’elevazione dall’ordinario, di per sé ‘pedestre e spesso mediocre’, equivalente di una fuga dalla realtà ingenerata da una infelicità reiterata nel tempo, alla ricerca costante del proprio riscatto …
“Cos’è che ci trattiene dal toccare? / Si isola una prima conoscenza / nella dimestichezza delle gocce naturali / e appare la durezza di una pietra…”.
O meglio, all’ancorché motivata composizione/scomposizione di quella ‘musica assoluta’ che dia equanime risonanza al proprio concerto interiore …
“Cosa manca allora per incidere ripetere o svelare in sé la qualità fine di un’ombra? … Penso a ciò che si può amare alla coscienza che cerchiamo nelle cose – non è più quella dell’ombra né il ricordo o l’esclusione che si vuole. […] Forse l’invasione è solo questa – una città dai tempi morti e gli occhi grandi come guardi una figura nell’infanzia o l’illusione che verrà.”
Ma se la ‘lingua’ è l’anima che tiene vivo un popolo, la libertà d’espressione equivale alla sua identità come il bene più prezioso da conservare, ciò che da senso all’atto di apprendere, e che l’io collettivo (che non esiste), pur definisce in senso di comunitario e glocalizzato della globalizzazione in atto, necessario a raccontare il mondo attuale, la tecno-sfida di quel linguaggio intraducibile che in qualche modo va riconquistato.
Come andare alla riconquista di un passato latente che va incontro, strano caso futuribile, al pensiero ancestrale degli antenati, in quanto sindrome illusoria d’illegalità legittimata dall’ego, privato e isolato, che esprime la propria individualità, al tempo stesso ambivalente e unanime, in ambito sociale, per un’autonomia della vita interiore, che si rivela nella …
“..forza contratta / esclusiva / (come di) una forma di fuoco / che inventa nel nulla / e induce il suo canto / tra il ritmo battente / e ciò che soltanto / le ciglia pensiamo / possano avere / se fossero fili / intuibili d’erba / di pioggia e di vento / […] / o alternanze di scavi / di anfratti / visibili solo / immergendo le dita / in quel vuoto / impassibile duro / dissimile in tutto / dal mondo di […] di chi scrive / e rivolge lo sguardo / a una sillaba assurda / a un dolore apparente / ma vivo”.
Come in Gaston Bachelard, filosofo, epistemologo illustre, autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca del nuovo spirito scientifico, le cui osservazioni sul ‘l’impegno razionalista’ e ‘l’intuizione dell’istante’, la ‘poetica dello spazio’ e la ‘psicoanalisi del fuoco’ aperte alla disamina filosofica contemporanea, Giorgio Bonacini può vantare nel suo stretto ambito critico, un’importante intromissione ‘poetica’ nel campo della linguistica emergente.
Fra le sue molte pubblicazioni figurano inoltre ‘poesie visive, sonore e artistiche’ nate dalla collaborazione con il gruppo Simposio Differante, in cui figurano testi di critica letteraria apparsi in riviste nazionali quali “Anterem” ad esempio, in cui il ‘linguaggio concreto’ delle performance si spinge alla ricerca dell’assoluto interiore, onde - egli scrive ...
“..scavare, conoscere e riconoscere, così come pensare e interrogarse sono l’essenza stessa dell’odierno esistere".
Contestualmente a: “Di tutto non si può dire. / Qualcosa ci attraversa / e ci separa – il vetro è silenzioso / il paesaggio muto / […] / Di noi si è senza /Non ho visto mescolanze / non ho visto niente / […] Ma non è così stabile / questo sgomento – ha l’incauta esattezza / dell’erba e la stessa aderenza / Di noi si è senza, impropriamente / senza / drasticamente senza / […] Ha devastato l’illusione il corpo / d’ombra, la sua impronta, l’equilibrio / del disegno nel ricordo del riflesso / Non ho visto smarrimenti / non ho visto niente – di noi / si è senza, naturalmente senza”.
È in questo suo vagare tra la distanza e il limite raggiungibile del suo pensiero che la dimensione onirica della ricerca affronta l’algoritmo del ricongiungimento (impossibile) col sacro, in quel dualismo che sta alla base del soccombere umano prima di giungere in cima alla piramide inanimata del divino, ove già Icaro tentò il grande balzo, per poi rovinare in discesa …
“Troppa la distanza, il limite / il confine – l’esistenza di un distacco / ancora opaco e irraggiungibile / […] / Troppo antica quell’altezza / in sommità – il prolungamento / innumerabile disposto nel disagio / […] / Mi riduco a sconfinare / a farti correre all’istante proprio qui / in un tempo preso ad inseguire / ad esaudire una distanza / Ma nel viaggio resto immobile / e costretto – e mi concentro in ogni cosa / cerco il vuoto di un tormento / Forse è l’albero, la luce, il forte / esempio che raggela e salta in bilico / agli antipodi di un suono – furto / e falso, senza limite né fuoco”.
C’è da restare sgomenti che nel ‘pensiero finale’ “..la perplessità resiste - / deve darci lo spasimo di un sentimento / inabile, patire i gesti impellenti / e farli vivere / schiudere l’ombra del riconoscimento / l’idea fondamentale di un conflitto / […] / essere il furto di una lingua / un dono amabile e sleale / […] Indicibili i suoni – al riparo del vento (ultimo che gelido spira) / (è allora che più) li senti così irrefrenabili e persi … / e così inafferrabili”.
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“Ha senso che parlandoci riapriamo / la ferita? L’illusione inospitale del richiamo / non si oppone – non ha nulla da portare / Ma ugualmente è un’esistenza / in altri segni, tra le rocce, nella pioggia / dov’è il nome del bagnato”… Come in questa ‘Chiusura’: “Un segno – un piccolo preciso, indelebile segno È da qui che dovremmo partire – e qui ritornare E se cadono i suoni? E li nomina l’acqua? Le parole ora scrivono là – nel fantasma del sole Un salto e un ricordo – un cespuglio di segni L’inizio oltrepassa così l’illusione e la fine È qui che dovremmo tornare – e qui ripartire”.
Ma non tutto ci è dato!
“Non è nostro dunque il sole né il riverbero / dei suoni né la voce – libertà di un’atmosfera / firmamento di follie non destinato, recita / il suo corpo intimorito questa luce, si tortura / per un’ombra e l’universo che la accoglie / fascia il mondo con ardore, senza pace” / […] / «Così, per assenza di voce / un’aria difficile buca e risuona. / E la mente si ferma. Non parte. Rimane.» (*)
Referenze:
Giorgio Bonacini, “Quattro metafore ingenue”, Piero Manni 2005. (*) in “Argini”, “Anterem”, Rivista di ricerca letteraria n. 94 – Anterem Edizioni.
Gaston Bachelard, “L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco”, Dedalo 1993.
Jacques Derrida, “Luoghi dell’indecidibile”, Rubettino Editore 2012
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