Dopo avere accumulato nella notte immagini felici
E voli dell’anima ridente nel groviglio del caso,
Svegliatami con lo splendore nuovo dell’aurora,
Vedendo ancora il suo corpo inclinato verso il mio tepore,
Lo riconobbi come stordita, tanto mi sembrò
Superfluo averlo ricevuto tra le mie braccia al buio
Senza alcun suono se non un gemito lungo d’animale.
Sì lo ricordavo: come un frammento caduto
Sulla metafora bianca della mia carne che chiamava amore,
Ad essa ricongiunto come all’origine stessa della sete,
Le gemme pulite dei suoi occhi che mi precipitavano
Nel ricordo di una valle verdissima di grano.
Il ticchettio dell’orologio spostava il tempo verso il tempo a venire
Mentre, a torso nudo, sul letto disfatto, silenziosa
Osservavo gli oggetti sparsi per terra con furia,
Come dopo un assalto nemico o un impeto fortissimo di vento.
I miei anni notturni volteggiavano nella testa
Come un drappello di rondini in cerca di un luogo più caldo,
Più certo di un respiro di ragazzo ancora dormiente.
Avrei avuto ragione se gli avessi detto subito addio,
Se fossi andata via per sempre. Ma si svegliò che pareva
Un tenero angelo bianco, un destino di grazia,
Una ridente delizia. Come esultavano fuori le creature viventi,
Come scintillava l’azzurro limpidissimo del cielo!
Gli morsicai la bocca che sapeva di mandorla
E l’accostai al seno perché bevesse di nuovo il latte della felicità.
Oh, i nostri occhi nuotarono ubriachi vedendoci senza vederci e
Ancora più caldi furono i baci, ancora più verde il grano di ieri.