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Giovanni Verga in la Roba

Argomento: Letteratura

di Mauro Di Fabrizio
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Pubblicato il 10/03/2018 08:00:58

Scrittore Siciliano nacque a Catania nel 1840 da famiglia di proprietari di origine aristocratica.

All’inizio della sua carriera s’ispirava ad Alessandro Dumas, l’autore dei tre Moschettieri.

Il primo Romanzo fu i Carbonari della Montagna pubblicato tra il 1861 e il ’62 e fu lo slancio per la sua attività di scrittore.

L’attività letteraria di Verga si distingue in due fasi:

La prima Romanzi e novelle a sfondo romantico (citiamo un’opera esemplare: Storia di una Capinera).

La seconda il mondo meridionale grazie alla novella Nedda 1874 e inizia un cammino di stampo diverso e di stile severo e oggettivo.

Da Menzionare i romanzi, i Malavoglia e Mastro Don Gesualdo 1888 e le raccolte di novelle una di queste segnaliamo Don Candeloro e C.i 1894.

Fondamentali per la sua carriera anche le opere teatrali, in particolare Cavalleria rusticana tratto da una sua novella di Vita dei campi e rappresentata con grande successo in forma teatrale nel 1884 a Torino, poi ripresa da Pietro Mascagni per una sua famosissima Opera musicale.

Veniamo al racconto che ho citato nel titolo: La roba.

Da alcuni anni Giovanni Verga esprimeva le condizioni della società siciliana con la tecnica del verismo, dove la regola fondamentale era l’obiettività.

Addentrandosi nella lettura delle novelle lo Scrittore è attento a raffigurare anche in modo crudo, (mettendosi anche nei panni del lettore) di una parte della Sicilia nelle terre nei paesi vicino a Catania povera e indietro con i tempi, pre e subito dopo l’unificazione nazionale.

La lingua utilizzata era molto naturale e rendeva l’idea di tutte le vicissitudini di quel periodo, nuovo, semplice, familiare, anche dialettale ma allo stesso tempo vero e reale.

Di questo racconto il protagonista assoluto è il contadino Mazzarò cresciuto nel lembo meridionale di Catania.

Lavorava senza tregua e con la sua avarizia riuscì giorno dopo giorno ad accantonare immense ricchezze e vedeva solo il denaro come unico scopo della sua vita.

La gente del luogo lo conosceva bene e nei loro discorsi spesso sulle terre e sulla predominanza e potenza si faceva il nome di Mazzarò, che riuscì anche nel suo intento di possedere anche l’impossibile: il palazzo del barone.

La roba è sinonimo dei beni materiali, tema attualissimo soprattutto nei giorni odierni, cioè la forza come calamita che provoca agli esseri umani.

In questa novella raggiunge la maniacalità ossessiva, dove il protagonista è raggiunto da un vortice a imbuto dove non ne può più uscire fuori, tanto è vero che verso la vecchiaia al momento di fare un esame di coscienza e pensare più all’anima, lui si ostinava, fino al punto di pensare e Strillare: “Roba mia, vientene con me”.

Comico, ma nello stesso tempo Amaro e crudo questo racconto, che sprigiona all’Autore Giovanni Verga, la voglia di far capire al lettore, come il materialismo non va vissuto come ossessione, ma come bene misurato per arrecare al comune mortale una vita agiata o per lo meno aiutare nella quotidianità, a essere un pizzico più sereni.

 

Mauro Di Fabrizio


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