"In generale la giustizia è uguale per tutti, perché è utile nei rapporti sociali; ma in casi particolari, e a seconda dei luoghi e delle condizioni, risulta che la stessa cosa non è giusta per tutti." Epicuro
Una riflessione sulla società attuale spinge l’autrice lucana Teresa Armenti a riprendere il lavoro di studio sulla sua tesi di laurea per estrapolarne passi sulla giustizia, integrati da dodici favole di Fedro tradotte in dialetto lucano.
Le favole sono quelle che noi tutti conosciamo (la volpe e la cicogna, La volpe e l’aquila, ecc) e sono quelle che da sempre vengono utilizzate nella scuola per insegnare ai bambini comportamenti, vizi e virtù umani in forma ludica e divertente. I protagonisti sono animali parlanti, variegati e razionali come uomini; da una parte stanno gli umili, dall’altra i prepotenti.
L’autrice sottolinea i tratti attuali della scrittura fedriana, ma soprattutto la mancanza di fiducia nel sistema della giustizia. Scrive infatti: “Le favole di Fedro sono prive di un benché minimo senso ottimistico della vita, cioè di una pur minima speranza verso un mondo migliore, verso un mondo governato dagent e giusta. Egli considera l’uomo unilateralmente un egoista, che spesse volte ricorre alla malvagità, per poter sopravvivere. I suoi componimenti riflettono solo episodi di astuzia, di prevaricazione; non rappresentano esempi di fratellanza, di pace, di uguaglianza tra gli uomini, precetti predicati dalla religione cristiana, allora agli inizi, ignota al favolista”.
Eppure, la grandezza di Fedro, in quella società corrotta e degenerata dell’Impero in cui visse, è che il favoliere tanto apprezzato e amato dallo stesso Leopardi, non si arrende e non soccombe, ma reagisce attraverso la parola scritta, procurandosi per ciò un processo e persino una condanna a causa delle allegoriche allusioni contro la politica e la società del tempo.
Teresa Armenti ha tradotto in dialetto lucano le storie più significative del poeta-favoliere latino, conservando ed esaltando lo stile elegante, essenziale (brevitas) del linguaggio, ma soprattutto la spontaneità che le caratterizza.
La traduzione gergale restituisce infatti il colore e la naturalezza dell’espressione colloquiale alle piccole storielle popolari, che con le loro proverbiali morali, sono da sempre intercalate nell’uso quotidiano del parlato (dove hanno avuto origine e dove perdureranno nel tempo).
Una favola tradotta in dialetto lucano dall'autrice:
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‘A vorpa e ‘a cicogna
‘Nu iurno, cumma vorpa ìia girenno a biasina
e si vulìia rivertә cu’ primu ca passava.
Scundrau ‘na cicogna e li ress’:
-Cummà, da cché tembo nun t’aggio visto!
Veni addov’ a me, ca ni facimo ‘na bella mangiata!”
‘A cicogna, assai cundenda, ìhu addov’ a vorpa.
Questa li prisindao ‘nu broro findo, ‘nda nu piattolar’ho, lar’ho.
‘A pov’redda ‘u uardao sulu, cu’ l’occhi spalangati
e s’inni turnao senza ru tuccà,
cu’ ‘na fam’ ca nun ci viriia,
ma mend’ sua ress’:
“T’aggia rà ‘a ritenna!”.
Passau ‘nu picca ‘i tembo
e venn ‘u turnu soio:
‘A cicogna fec’ ‘u mmito ‘a vorpa,
ma li riho eriva tagliata a picca a picca
‘ndà nu cùcumu cu coddo stritto.
Edda si sazziava e ‘a vorpa liccava sulu ‘a creta
e si nni turnao,
ca cora ‘nda li yamm’
e licann’lluzzi ‘nanzi a l’occhi.
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Teresa Armenti, "Fedro e la giustizia" con dodici favole tradotte in dialetto lucano, Collana "I Saggi", a cura dell'Associazione Culturale LucaniArt, ottobre 2012
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