Simonetta Fiori, in occasione della Fiera di Francoforte, conversa sullo stato dell’editoria con Laura Donnini, Direttore Mondadori - La Repubblica 9-10-2012 a p.38-39
«Sì, dobbiamo aspettarci una stagione ad alta temperatura erotica. Sono già al lavoro diverse autrici, italiane e americane. E tutte scrivono trilogie, nel solco tracciato dalla James». Dietro il successo nazionale delle Cinquanta sfumature, il bestseller bollente che ha travolto le classifiche (forse anche la demografia) di tutto il mondo, c’è Laura Donnini, responsabile della direzione generale di Mondadori. Quarantanove anni, toscana di Follonica, una brillante laurea in Economia e Commercio, vasta esperienza internazionale, Donnini sembra esemplarmente incarnare l’ultima leva della grande editoria libraria, da domani raccolta nella Buchmesse di Francoforte. È la terza generazione dei publisher italiani, quella dei manager puri, venuta dopo la stirpe dei padri fondatori e i loro eredi ancora sospesi tra cultura e mercato. «No, non ho mai letto Thomas Mann, ma non credo sia un problema. Io mi metto all’ascolto di chi Mann l’ha letto, e cerco di trarre il meglio dalla squadra di editori che dirigo».
Passione, pragmatismo, anche umiltà. No, I Buddenbrook non li ha mai letti, ammette timidamente confermando la voce messa in circolo da un editor non più alla Mondadori, ma sembra anche chiedersi: ce n’è davvero bisogno?
Il mondo è cambiato, la rottura culturale degli ultimi anni ha modificato profondamente gerarchie del sapere, mercato dei libri e ancora molto altro. Laura Donnini ha imparato le strategia di marketing dall’industria di largo consumo – borotalco, saponette, dadi e perfino risotti di cui parla con piglio brioso e autoironico – rivendica di saper tutto del pubblico femminile grazie ai molti anni trascorsi alla guida di Harlequin Mondadori (regina delle storie d’amore con il marchio Harmony), ha rivitalizzato una sigla un po’ appannata come Piemme, e oggi occupa la poltrona più ambita della Mondadori, quella di responsabile dell’intera produzione libraria. Il suo sogno? Avvicinare il più possibile i libri ai lettori. E rendere più pop la cultura d’élite. In che modo? Ascoltiamola.
Lei arriva dall’industria di largo consumo, prima Manetti & Roberts, poi Johnson Wax e infine Star. In che modo questa esperienza le è servita con i libri?
«Tutta la mia esperienza è fondata sulla conoscenza del consumatore. Mi sono sempre sforzata di intercettarne bisogni e tendenze, progettando nuovi prodotti e adoperandomi il più possibile per comunicarli al potenziale acquirente. È la strategia del marketing, che poi ho messo al servizio del lavoro editoriale».
Si riferisce ai sette anni da Harlequin Mondadori?
«Là ho potuto conoscere a fondo l’universo delle lettrici, che è poi quello che più incide sul mercato. Una macchina internazionale molto complessa, che mi ha fatto capire cosa si pubblicava in Giappone o negli Stati Uniti. La produzione era tagliata sui gusti delle lettrici, dopo averne sondato gli orientamenti. Un laboratorio interessante, in cui ho potuto osservare in anticipo importanti fenomeni editoriali».
Quali?
«L’esplosione di Twilight è stata largamente anticipata dagli Harlequin americani. Lo stesso è accaduto con la moda del romance erotico, che oggi trionfa nella trilogia di E. L. James. Era già tutto in quei romanzi rosa».
Ne saremo travolti?
«Sicuro. È già all’opera un’intera squadra di scrittrici che però non rinunceranno ai topoi classici della storia d’amore, il principe azzurro e il lieto fine. In Italia la trilogia delle “sfumature” ha riscosso un successo che non ha avuto altrove, esclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito: due milioni di copie venduti in soli tre mesi».
Come lo spiega? Un popolo molto depresso?
«No, più una questione di strategia editoriale. Ad Harmony ho imparato che le lettrici di questo genere di racconti sono afflitte da una forma di addiction, di dipendenza. Così abbiamo deciso di mandare in libreria i tre volumi a distanza di poche settimane l’uno dall’altro».
Nell’editoria libraria, lei rappresenta la terza generazione, quella dei manager puri. Vi accusano di non avere gli strumenti per occuparvi di libri.
«Un’accusa insensata. Il manager trasferisce in numeri la qualità delle scelte fatte dagli editori, che sono i responsabili delle singole collane. Il mio compito è organizzare una squadra di talenti, che hanno totale autonomia nella scelta di autori e testi. Quel che mi propongo è valorizzare al massimo il loro lavoro. E farlo arrivare ai lettori: un dialogo che in passato non sempre ha funzionato».
Primum vendere. Ma con questo criterio non rischia di scoraggiare scelte editoriali meno popolari?
«No. Noi abbiamo un duplice obiettivo: da un lato intercettare i bisogni dei lettori sul piano dell’intrattenimento, dall’altro però dobbiamo continuare a investire nel dibattito intellettuale. La difficoltà è quella di far emergere i libri più complicati, ma la nostra missione è continuare a pubblicarli».
Però nel profilo di Mondadori questa “missione culturale” è oggi meno caratterizzante, specie sul piano della saggistica.
«È meno visibile, ma le assicuro che esiste. Il problema è più generale, e va oltre la Mondadori. Quest’anno abbiamo assistito a un fenomeno nuovo che è la “varizzazione” della saggistica: oggi hanno fortuna testimonianze di attori, protagonisti dello sport o della televisione, che si sono messi a nudo raccontando vicende dolorose. Un genere che un tempo apparteneva alla “varia”. Mentre ha sofferto molto la saggistica impegnata. Forse abbiamo bisogno di evadere, anche – e paradossalmente – con i dolori degli altri».
Marketing e lavoro editoriale, giovani e seniores: tutti seduti intorno allo stesso tavolo. Lei ha introdotto un modo diverso di organizzare il lavoro.
«Sì, più orizzontale. In un mondo che cambia così rapidamente dobbiamo tutti metterci in ascolto. Il mio stile di lavoro è fondato sulla condivisione delle idee di tutti – dall’editoriale al marketing, dal cartaceo al web – sempre con l’obiettivo di valorizzare il più possibile i libri. Certo aver messo in discussione posizioni e modalità del lavoro editoriale può aver generato fastidio, e in un caso una buona dose di veleno».
Come reagisce ai rimproveri che le sono stati mossi?
«Vado avanti, senza farmi condizionare. Non sono tenuta a essere un’esperta di letteratura, e penso che il mio compito sia un altro. Un anno fa qualcuno disse: vedremo i risultati. A un anno e mezzo dall’incarico al vertice di Mondadori posso già fare un bilancio: nell’annus terribilis della crisi, noi siano l’unico editore che cresce, in termini di quote di mercato e di classifiche. Abbiamo vinto Strega e Campiello, lanciato nuove collane, acquisito nuovi autori, sperimentato sul digitale. Il risultato è più che soddisfacente».
Avete perso Saviano.
«Io non ho avuto la fortuna di lavorare con lui, e dunque non posso dire di averlo perso. Lo considero un pilastro della cultura italiana: quello che ha da dire merita il massimo rispetto. La sua è una scelta personale che naturalmente rispetto, ma non mi crea problemi».
Quanto al premio Strega, rilevo un’anomalia. Ogni anno arrivano tra i cinque finalisti sia la Mondadori che l’Einaudi, marchio nobile che fa parte del gruppo. Quest’anno è toccato a Marcello Fois, finalista dell’Einaudi, fare da portatore di voti per Piperno, vincitore con Mondadori. Quattro anni fa fu ancora più eclatante il caso di Diego De Silva, candidato einaudiano che in finale di partita perse quasi tutti i voti. Non ritiene che questa compresenza in gara di due marchi dello stesso gruppo sia un fattore inquinante?
«No, le cose non stanno così. La verità è che siamo davvero concorrenti: ciascuno gioca le proprie carte, ed entrambi siamo messi nelle condizioni di concorrere ad armi pari».
Però, con qualche rara eccezione, vincete sempre voi.
«Ripeto: non si fanno strategie di alcun tipo. E – a dirla tutta – in prossimità della gara, tra le due case editrici sale la tensione. Forse per evitare questo tipo di polemiche si potrebbe decidere di competere un anno con Mondadori e un altro con Einaudi. Ma entrambi i marchi hanno una produzione narrativa di altissima qualità».
Come vorrebbe che fosse ricordata la sua Mondadori?
«Vorrei rendere un po’ più pop la cultura alta. Abbiamo appena promosso via facebook la vita di Dante di Marco Santagata: un successo insperato. Bisogna raggiungere i lettori, a qualsiasi costo. Senza snobismi o sopracciglia inarcate».