Pubblicato il 10/01/2011 12:00:00
a mia figlia Beatrice Non ho mai smesso di ostinarmi a credere che un giorno il rombo nero dei mortai sarebbe diventato un suono sordo da ascoltare in Musei, dove la Storia si potesse osservare con la lucida legge del tempo, e non con quella antica, prigioniera dei sogni del potere che inabissa le chiavi di ogni tempio come àncore rose dalla ruggine, riarse in cupi gorghi di salsedine.
Ma sento troppe voci rassegnate al ritorno dei barbari, al dominio di queste loro onnipresenti armate, con le insegne aggiornate di quell’odio griffate sopra fibbie ed alamari. Vorrei poterti dire, mia favilla, che questo nero cigno sia allo stremo, e che per il suo manto, così osceno, l’ultima ora del canto sia vicina, nonostante le grida che lo acclamano. Speriamo di svegliarci, una mattina, in cui il cielo riappaia nudo e sgombro, sopra l’oro degli angeli, violato da questa sordida, infiammata pece; e le ali nere planino nel vuoto.
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