…Il guaio è capire di non capire, conclude Sauro Albisani le poche righe del viatico di seconda di copertina al suo ultimo lavoro, La valle delle visioni ed è come cercare una tutela gnoseologica o un “avviso ai naviganti” per chi si accinge a seguirlo in questo monologo dell’ “uomo vigilante” o del mozzo, per usare una metafora marinara, totalmente teso verso la scoperta della terra in lontananza come della comprensione della vita, a cui anela e che vorrebbe affrettare. Come nella prova precedente,Terra e cenere, che si avvale di un lucido intervento critico di Luigi Baldacci, Albisani rivela anche in questa raccolta poetica, una sorta di antropologia dell’inquietudine o “del dubbio di vivere”, l’intuizione è di Giuliano Manacorda, speculare ad una esistenza che si barcamena tra ripiegamento nei riguardi della necessità del quotidiano e lotta per il significato alto del destino umano, dentro cui si dibatte la categoria di persona, prima che quella di poeta. Categoria, se mi è permesso, la cui profonda intenzionalità svela l’essere all’uomo se ne accettiamo, come indicazione, l’originaria vocazione e l’irripetibilità del cammino e Albisani, nel mentre ha chiara questa indicazione, ha pure presenti e vive dentro sé le sue frantumate illusioni e la sua cocente incertezza dinanzi alle domande di senso, che gli fanno scrivere, come accade nella tecnica psicologica “per prove ed errori”, versi in avanscoperta, del tipo: “…Io sono il pino che davanti casa/ vecchio non so di quanti secoli ode/ premere dentro di sé l’eternità” e subito dopo “…Potessi sentire come cosa buona/ che esista/ tutto ciò che esiste”.
Il procedere di questo lavoro, che non usa colpi di martello ma spilli di ascendenza gnomica e quasi sapienziale (le “canzonette terribili” nella dizione di Baldacci) sta a indicarci che se l’esistenza ci logora è anche affinché non tutto l’inspiegabile in cui sprofondiamo riesca a farci dimenticare che siamo uomini: dal buio della precarietà al fondo della solitudine, dal sentirsi sotto assedio al posare le nostre croci/per fare il cambio, dal perché questo senso di fallimento al se solo sapessi chi sono, può accorrere a noi la gentile violenza della poesia e del poeta che rimane solo con le sue verità scottanti e con i suoi enigmi, ma anche con le sue fiaccole accese di chi è comunque alla ricerca: “…Ci hai dato la valle delle visioni/ in cambio della tua lontananza”.
In definitiva, Sauro Albisani convoca nell’ordine alfabetico di queste proiezioni, tutto il repertorio delle sue letture e il conforto di maestri indimenticabili, e non solo Betocchi, ma anche di sfuggita pedagogisti come Andrea Canevari o l’inconfondibile secondo Caproni dei feedback negativi o dei richiami all’ “inquietum est cor nostrum” agostiniano, convoca il suo magistero di uomo di scuola e di famiglia che ha bisogno di scaldare la memoria perché minacciata di oblio, ha bisogno di una lingua personale perchè il suo funzionamento è lastricato di fraintendimenti, ha bisogno di un’intelligenza gravida di storia, col travaglio della sofferenza e con affondi etici, un’intelligenza poetica, se mi si permette, che non si sente al riparo da ogni crisi e non si scalda alla rapsodia fissata nella macchina dell’abitudinario.