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La colonia saracena del Garigliano e la politica papale

Argomento: Storia

di Giovanni Aniello
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Pubblicato il 08/03/2017 11:25:24

         Nell'Alto Medioevo la storia della piana del Garigliano si intreccia con quella di Gaeta che dal VI secolo si avviò a diventare una città importante nella storia d'Italia.

Diventata ducato indipendente durante la dominazione bizantina, Gaeta vide aumentare la propria importanza con l’interruzione delle comunicazioni sulla strada di Roma determinata dall’arrivo dei Longobardi e dalla formazione del ducato di Benevento e del principato di Capua all’altezza del Garigliano con il conseguente spostamento del traffico sull’itinerario marittimo Gaeta – Napoli.

Gaeta si oppose alla conquista longobarda mantenendo legami di alleanza con i Bizantini ma, come per le altre città marinare meridionali (Napoli, Sorrento e Amalfi), si trattò di legami solo formali, utili a mantenere una propria indipendenza effettiva sotto il governo dei duchi locali.

Infatti, a partire dall'867, consolidò la propria autonomia con Docibile I e i suoi successori estendendosi sulla terra ferma fino ad inglobare il territorio di Formia e giungere lentamente fino al Garigliano.

Alla fine del IX secolo, come molte città costiere della fascia tirrenica centro-meridionale, anche le terre del ducato di Gaeta furono esposte agli assalti dei Saraceni: nell'846 bande saracene distrussero Formia e nell'agosto di quello stesso anno devastarono e saccheggiarono le basiliche di Roma. Il tentativo di attaccare Roma si ripeté nell'849 via mare, ma fu fermato da una flotta cristiana composta da navi di Gaeta, Napoli e Amalfi che sconfisse quella saracena ad Ostia.

Nel giugno dell'868 una numerosa flotta saracena cercò di sbarcare alla foce del Garigliano col proposito di occupare Gaeta.

Il papa Giovanni VIII, preoccupato del pericolo saraceno e visto che le ripetute richieste di aiuto agli imperatori Lotario e Carlo il Calvo non avevano risolto il problema, iniziò una fitta attività diplomatica per allentare la rete di amicizia che legava i principi meridionali ai Musulmani e decise di riunirli in congresso nel giugno 877 nel castello di Traetto (l’attuale Minturno). A presiederlo fu lui stesso anche se ciò comportò, come registrano documenti dell'epoca, la sua assenza al Sinodo da lui già indetto a Ravenna.

I capi di Salerno, Benevento, Capua e Gaeta si riunirono nel castello di Traetto dal 24 al 27 giugno sotto la presidenza del papa che già dal 16 era ospite della sede vescovile della città; ma i tre giorni di congresso non diedero i risultati sperati. L’accordo per la costituzione di un fronte unico contro gli infedeli non fu raggiunto e il papa fu costretto a percorrere vie più concrete offrendo 12.000 mancusi d'argento a Napoli e Amalfi in cambio di precisi impegni: Napoli avrebbe interrotto i rapporti con i Saraceni e Amalfi avrebbe difeso con la propria flotta il litorale tirrenico dal Garigliano a Civitavecchia.

Ma quando fu chiaro che neanche quest’offerta sarebbe bastata a far mantenere gli impegni il papa minacciò gli Amalfitani di scomunicarli e bandirli dal commercio nel porto di Ostia. Solo allora Pulcare, duca di Amalfi, mise in mare la flotta in difesa delle coste laziali da Traetto a Civitavecchia com'era nei patti; ma in verità non ruppe mai definitivamente i buoni rapporti che lo legavano ai musulmani per garantirsi i propri traffici commerciali nell'intero Mediterraneo.

Fu quest'affannosa e costante ricerca di formare una coalizione antimusulmana a spingere papa Giovanni VIII a concedere in signoria a Pandenolfo di Capua nell'880 i patrimoni ecclesiastici di Traetto nominandolo Rector del Patrimonium trajectanum.  

Esasperato dal comportamento del papa e dalle continue incursioni di Pandenolfo  nelle terre a destra del Garigliano fino a Mola (l’attuale Formia) dove arrecava danni agli abitanti di Gaeta che vi si recavano a macinare i cereali, il duca di Gaeta Docibile chiamò in aiuto i Saraceni che, accampatisi sui colli formiani a difesa dell'indipendenza del ducato, si rivelarono ben presto un pericolo perché da qui partivano per saccheggiare le terre vicine.

Il papa, resosi conto dell'errore commesso ritirò la concessione a Pandenolfo e la trasferì a Docibile aggiungendovi il territorio di Fondi a condizione che combattesse i Saraceni fino ad espellerli.

La prospettiva di poter esercitare un effettivo dominio su un territorio che si estendeva da Terracina al Garigliano convinse Docibile ad affrontare e scacciare i Saraceni dalle colline formiane fino al Garigliano dove si stabilirono costituendo una difesa contro i Longobardi di Capua e Benevento.

Da questa colonia, però, i Saraceni continuarono ad assaltare e saccheggiare chiese e città dei territori vicini: nell'ottobre 881 distrussero il monastero di S. Vincenzo al Volturno; nel settembre 883 saccheggiarono e incendiarono Montecassino costringendo i pochi frati rimasti a rifugiarsi a Teano; nell'ottobre dello stesso anno saccheggiarono Fondi, Terracina e Anagni; nell'884 attaccarono Teano dove però furono affrontati e sconfitti lasciando sul campo 115 dei loro.

La prima azione militare contro questa colonia saracena del Garigliano fu tentata nell'886 da Guido di Spoleto a cui aveva chiesto aiuto papa Stefano V con la promessa di incoronarlo imperatore.

Ma due anni dopo, morto l'imperatore Carlo il Grosso, Guido abbandonò l'impresa perché interessato alla successione imperiale.

Intanto i Saraceni del Garigliano si rafforzarono grazie ai nuovi arrivi di arabi da Agropoli.

Fallito anche un secondo tentativo, tra il 903 e il 908, con la sconfitta nella battaglia della Sétera  dell'esercito confederato di Capua, Amalfi e Napoli, solo nel 915 gli Arabi del Garigliano furono definitivamente scacciati dalla zona in una durissima battaglia svoltasi molto probabilmente in quell'area che ancora oggi porta il nome di Vattaglia.

L'esercito cristiano era formato da un'ampia lega: una flotta inviata dall'imperatore bizantino al largo del Garigliano, le truppe dell'Imperatore Berengario, quelle comandate personalmente dal papa Giovanni X che partecipò alla battaglia, quelle dei principi napoletani e quelle del duca di Gaeta che, in cambio dell'alleanza, si vide riconfermare il possesso di tutti quei territori che già il papa Giovanni VIII gli aveva assegnato e che avremmo trovato nominati nel Placitum Castri Argenti.

Fu in quell'occasione che Giovanni I, duca di Gaeta, fece costruire sulla riva destra del Garigliano, all'altezza della città romana, La Turris Gariliani per celebrare la vittoria sui Saraceni, come si ricava da un'epigrafe in seguito utilizzata come materiale da costruzione del campanile della cattedrale di Gaeta. Questa torre, ricordata in vari documenti fino al 1300, perse lentamente la funzione per cui era stata costruita e diventò, col nome di bastia, un fortino di appoggio e difesa della scafa e tale restò fino all'Ottocento quando fu distrutta per costruire il ponte pensile che ancora oggi si vede sul Garigliano. Con gli stessi obiettivi militari di difendersi dai Saraceni Pandolfo Capodiferro, duca di Capua, fece costruire sulla riva sinistra del fiume, tra il 961 e il 981, la Turris ad mare che sopravvisse fino alla seconda guerra mondiale: restaurata dal ministro minturnese Pietro Fedele e adibita a museo fu minata e abbattuta dall'esercito tedesco in ritirata.

 


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