Pubblicato il 24/12/2020 09:55:51
CANTO QUINTO
(NUOVO MERETRICIO)
A volte le parole, per vanità Meretrici, si svendono in enfasi Sottomesse a lacrimevoli sensi Invano tesi a commuovere cuori Con velleitari e pretesi languori. Esse, mostrando artefatti belletti, Posson tradire ogni amorsofia, Avvilire ogni dodeca, ogni Epta, ogni decaritmica sillaba, E pendule di romantici trimetri Infiascarsi in alessandrini d’accatto. Sì che il Cielo d’Alcamo, in tanti, e Con invidia esiziale, proverebbero A umiliare con barbare rime In calligrammiche infìde fattezze. Ma può accadere che la notte infine S’accenda, Polimnia danzi con Clio, decapiti gli ecolalici suoni, S’inveri in nuove inattese armonie Allor che la vanità parolaia, Fluente nell’accattonaggio dei like, offra un’utile morte a se stessa. Si ruppe infine la diga e il torrente Increspato di candida spuma E padrone invece del proprio fluire Mai rassicurante decise per sé. A vera poesia s’arresero Gli scortesi profanatori dell’essere, Allor che i versi sviliron le rime Tra cuori e lacrimevoli amori, Per cercare una nuova modernità. Quella tornante da ere passate, Come accadde per l’oca felice Che i parisiensi modi permise, (Furon le penne a uccidere il calamo). E tempo arrivò che un nuovovecchio poeta chiese a un ultimo sogno Se mai Jack da backroad sarebbe tornato A fustigare i cultori dell’enfasi, Color che rimano mare con cuore, Che usano il pallore lunare per Sedurre e ingannare le anime illuse.
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