Pubblicato il 15/02/2012 16:35:33
POESIA SCRITTA di Giorgio Bonacini a cura di Ninnj D Stefano Busà
E’ il respiro di un’ombra la forma che sento, che vedo/.../ sono parole di Giorgio Bonacini, ma denotano l’eccezionale intuizione e spessore di un “incipit” espressivo che ne costruisce con chiarezza e illuminante lucidità un progetto ispirativo, sottolineando la levatura linguistica, lo stile saldo e rigoroso, che la dice lunga su un autore di spicco, che ha il vantaggio della peculiarità impalpabile dentro una figuratività di immagini assai avvertita. Giorgio Bonacini sa abbinare una cifra lirica assai variegata e complessa, fatta di sospensioni e di interrogativi irrisolti, ad un’ansia di accostamenti vivaci dentro uno scandaglio d’introspezioni interiori ed esteriori molto ampi. L’autore scrive la poesia come un atto compiuto dalla mente per esorcizzare il dubbio, l’assenza di pensiero, il caos; ne derime i fili, ne costruisce i rapporti, le interconnessioni, gli strazi di una trascorrenza precaria e transitoria dell’esistente, lasciandosi guidare dal “pensiero” <poetante>, che istruisce il suo itinerario umano e intellettuale in una sorta di scrittura “crittografica” al cui interno riesce a captare i sensi, ovvero, quella forma apparentemente interna all’esistente che è anche -sinolo- della sua metafora stlistica. Tra allitterazioni, assonanze e consonanze l’autore raggiunge una misura simbolica suggestiva e scorrevole, che non sempre in altri autori è l’esito felice di una scrittura decriptata attraverso sigle e ismi moderni. Bonacini raggiunge toni alti in cui si snodano spunti di grande effetto, ineccepibili dal punto di vista stilistico. Un repertorio che consente al lettore una vasta gamma di orchestrazioni, a cominciare dal verso, quasi sempre ampio, avvolgente, sinuoso, affascinante e particolarmente dotato di grande spessore linguistico, di una profonda analisi introspettiva, in cui l’autore provvede a dotarsi di uno speciale percussore acustico, per avvertire meglio le vibrazioni che provengono dall’anima. Il pensiero è quasi sempre individuato in un coinvolgimento emotivo che contribuisce ad una stringente indagine di fondo. Dentro ed oltre la Poesia, Bonacini coglie l’occasione di una ricostruzione mnemonica, fatta di suoni e di segnali, di apparenti catarsi e di sorgenti di luce. La poetica di Giorgio Bonacini tende a decifrare i segnali e gl’interrogativi dell’esistenza per calarsi in una roggia speleologica di grande e arrischiato scoscendimento, un abisso dentro una concatenazione logica che va dall’astratto all’allusione, ed evidenzia il tentativo di farsi carne e sangue rinverdendo una musicalità a volte appena sfiorata, (perché l’autore non è di stampo elegiaco), che sublima le sfumature esistenziali:
“Portare a compimento una scoperta o farne parte non è solo il capriccio di un poeta, né un destino che rimanda a una parola affaticata - a volte l’invenzione è inopportuna...”
Qui, la vulnerabilità dell’io sfiora l’essere in senso totale, rivela un’eleganza preziosa nel cogliere la condizione frustrante dell’umanità. La conflittualità col reale, la percezione dolente dell’essere sforano quasi sempre in una malinconia e poi nell’ombra inquietante della parola mancante, nel suo illusorio perire e risorgere come Araba fenice, coerente visione della propria coscienza magmatica, eppure poetante, allusiva, condividibile col mondo. Vi è in questa poetica una lungimiranza, una maturità di ritmi e di esperienza fuori dal comune. Si vuole qui, ricordare la teoria degli opposti: se da un lato l’uomo e il suo epicedio, dall’altro vi si oppone la poesia con la sua motivazione profonda, col suo essere strappo e carezza, lenimento e lacerazione, perdenza e infinitezza. Una configurazione poetica che attiene ai grandi nomi del nostro secolo: Luzi, Zanzotto, Giudici, Bigongiali tanto per fare qualche nome, ma che da essi si distacca per volare alto nei cieli iperuranei della sua emblematica essenza. Una voce potente e alta quella di Bonacini, un poeta tutto da leggere, da approfondire, da studiare, perché può dare enormi sorprese al lettore. Roland Barthes è il suo autore d’elezione, ma dentro l’astrattismo proteiforme dell’immaginazione, Bonacini ne individua i dintorni, i contorni, ne delinea le linee, la sonorità, i segnali che lo rendono autonomo e assolutamente se stesso.
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