Pubblicato il 27/07/2012 17:16:19
Recensione di Maurizio Soldini a Daniele Barbieri, Il linguaggio della poesia, Bompiani, 2011 pubblicata sulle pagine culturali di Avvenire 27 luglio 2012
La poesia vista sotto la specie del semiologo, che è anche poeta, è la cifra di questo libro, che vuole contribuire al discorso sulla poesia. Una dimensione metapoetica che vuole aiutare a rispondere ad alcune domande su uno dei generi letterari più nobili, mi verrebbe da dire il più nobile, anche se a guardare le vendite dei libri di poesia come corrispettivo dei lettori di questo genere letterario ci potrebbe far dire che la poesia è nobiltà decaduta. Lo sforzo di Daniele Barbieri si spende proprio per una rinascita della poesia dalla debacle. E si interroga su quella che è l’identità e la specificità della poesia, incentrando le sue riflessioni sul linguaggio della poesia. Che non è tanto analogabile alla langue, che rappresenta la parte codificata e più strettamente linguistica della lingua, ma “enfatizza questa componente, locale e idiosincratica, di parole”. Parole che si basa sulla contingenza del momento, sull’uso particolare individuale e personale che specifica la peculiare combinazione delle parole. Per essere più chiari, mentre il linguaggio ordinario è più aderente alla langue, il linguaggio poetico si allontana dalla langue per una quasi coincidenza con la parole. La poesia ha a che fare con la comprensione, con l’emozione e col ritmo. Ma è importante sottolineare come “la fruizione del testo poetico non si esaurisce con la comprensione”. Non è importante soltanto capire, leggendo la poesia, ma è anche un’occasione di immersione con caratteristiche di condivisione di una certa ritualità del qui ma anche dell’oltre. Questo significa che nella poesia ha importanza il ritmo, nella sua dimensione sonora e nella sua dimensione di significato. Motivo per il quale Barbieri si dilunga sulle analogie tra la poesia e la musica, con una disamina sulla metrica, metro e ritmi, che caratterizzano la poesia dalle sue origini fino ad arrivare al verso libero. La dimensione ritmica del suono, come anche la dimensione ritmica semantica (legata alle figure quali la sineddoche, la metafora, la metonimia, etc.), che si snoda in una ritmica comprensione del senso (oltre che del significato), hanno una caratteristica di fondo, che rende tipica e specifica la poesia, che è quella dell’immersività. I ritmi del significato e del significante nel loro prosodico dispiegarsi vibrano dentro chi legge e dentro chi ascolta la parola poetica, e nella loro confluenza determinano l’emozione. Ma se queste sono le caratteristiche della poesia, quali sono le specificità del poeta? O meglio chi è il poeta? Barbieri dice che bisogna distinguere “il poeta da chi scrive poesie”. Innanzitutto vale per il poeta il concetto dell’immersività totale, nel senso che non basta scrivere una poesia ogni tanto, ma si deve avere una consuetudine quasi quotidiana alla scrittura. Come non può essere sufficiente trascrivere le proprie emozioni. La poesia infatti è una creazione di un oggetto comunicativo con sue proprie caratteristiche ad hoc (abbiamo visto sopra) che riesce nella sua autonomia testuale a produrre emozioni nel lettore a prescindere dall’autore. “È un poeta dunque chi scrive poesie ponendosi il problema di come costruirle al meglio, in modo che agiscano con la massima efficacia”. E quali sono allora le regole del poeta? In effetti, il poeta non pensa alle regole quando scrive, ma segue un percorso in cui è totalmente immerso. Se regole ci sono, queste sono in primis la sensibilità (che non basta, e che comunque è difficile poter definire), e quindi un fatto di gusto di stile di assimilazione, formatosi attraverso la pratica e la frequentazione assidua della poesia e dei poeti. Insomma, il poeta, per essere tale, deve essere anche un insaziabile lettore di poesia.
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