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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Da Illiers a Cabourg

Antologia

Aa. Vv.
LaRecherche.it


Recensione proposta da LaRecherche.it

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Pubblicato il 10/07/2012 12:00:00

L’impronta di Marcel Proust nel cuore della Francia

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*

 

AUTORI PUBBLICATI

[ verde: poesia; celeste: prosa; arancione: saggio ]

 

Adriana Pedicini, Alessandra Ponticelli Conti, Antonia Sati, Antonio De Marchi-Gherini, Antonio Spagnuolo, Caterina Davinio, Charles Baudelaire, Claudio Angelini, Daniele Garritano, Daniele Santoro, Davide Rocco Colacrai, Domenico Cara, Domenico Cipriano, Donato Di Stasi, Elio Pecora, Eugenio Nastasi, Flavio Ermini, Florence Godeau, Fortuna Della Porta, Franca Alaimo, Francesco De Napoli, Franco Buffoni, Gennaro Oliviero, Gio Ferri, Giorgio Mancinelli, Giovanni Raboni, Gualberto Alvino, Guglielmo Peralta, Giuliano Brenna, Gwyneth Lewis, Laura Cherubini Celli, Leopoldo Attolico, Loredana Savelli, Luca Soldati, Luigi Fontanella, Marcel Proust, Maria Grazia Cabras, Maria Grazia Lenisa, Maria Grazia Maiorino, Maria Musik, Maria Pia Moschini, Maurizio Soldini, Ninnj Di Stefano Busà, Paolo Polvani, Roberto Deidier, Roberto Maggiani, Roberto Mosi, Roberto Perrino, Saverio Bafaro, Stelvio Di Spigno, Valentina Corbani

 

*

 

...Si è sempre bene ispirati quando si parla di quello che si ama. La verità è che non si dovrebbe mai parlare d’altro.

Questa riflessione, espressa fortuitamente da Marcel Proust in risposta a una lode di Mme Lemaire a certi suoi versi, e intenzionalmente riferita all’amico Reynaldo Hahn, contiene una più vasta verità che lo riguarda. Come ben ha ricordato Luciana Frezza nel libro “Marcel Proust. Poesie” (Feltrinelli,1993), “l’ingresso di tanta parte di realtà nell’alhambra della Recherche du temps perdu si deve ad un amore possessivo ai limiti del patologico, a una capacità di elaborazione pari a quell’amore: non c’è dubbio, Proust era ben ispirato. La poesia, di fronte a una tale avidità e ferrea volontà di appropriazione dovette sembrargli ben ristretta, limitata come appare all’’essenza’ delle cose, troppo angusta verso la loro molteplicità e fisicità”. Dopo le prime prove giovanili, padrini Baudelaire e Verlaine, Proust si accorse che l’arte dello scrivere esigeva per lui un’area delle dimensioni che sappiamo; doveva poter contenere “l’altro se stesso” cresciuto a dismisura e sdraiato sulla propria esperienza per combaciarvi con la scrittura in ogni lineamento, in ogni minimo dettaglio. Luciana Frezza ci ricorda anche che il centinaio di componimenti poetici che Claude Francis e Fernande Contier hanno raccolto e annotato nel n° 10 dei Cahiers Marcel Proust, ci mostrano dunque un Proust che “fa” il poeta e una poesia che da un lato è stata fermata nella crescita e lasciata allo stadio di ipotesi, dall’altra utilizzata per la vita. Luigi de Nardis, nella introduzione al volume suindicato, ritiene che “i versi di Marcel Proust preludono e aiutano a comprendere meglio, per intermittenze e balenii, la grande sinfonia della Recherche du temps perdu”.

Ho ritenuto opportuno iniziare questo scritto di presentazione dell’“Antologia del 2012” della rivista letteraria LaRecherche.it con i riferimenti e le notazioni che precedono, per esprimere la mia ammirazione per la scelta felice di accogliere un così cospicuo numero di poesie, anche in francese, tale da suggerire quasi un certame poetico, proponibile per la varietà dei temi e la singolarità delle scelte. Peraltro l’ampio spazio che la rivista in questione offre abitualmente ai poeti, talvolta così cospicuo da far apparire la stessa, per alcuni versi, una vera e propria pubblicazione riservata alla poesia, meritava una riflessione sul rapporto di Proust con la poesia: apprezzamento quindi, da parte mia, della scelta editoriale, che fuga ogni sospetto su un mio possibile appiattimento su posizioni astrattamente condizionate dallo sconfinato amore verso il nostro “eroe eponimo”, il petit Marcel. Ciò mi consente di chiarire quella “più vasta verità che lo riguarda”, sopra riferita a Proust, il quale ritenne di giustificare la sua scelta – che dal punto di vista dell’estetica crociana (opposizione poesia/non poesia) appare “felicemente” incongrua – scrivendo, nelle meditazioni dedicate alla poesia nel Contre Sainte-Beuve, una frase molto chiara in proposito: “Constatiamo che i poeti disdegnano di scrivere, per interessanti che possano essere le loro idee su tale o tal altra cosa, su questo o quel libro, non prendono nota delle scene straordinarie alle quali hanno assistito e delle parole storiche che hanno udito pronunciare ai principi che hanno conosciuto, cose tuttavia interessanti per se stesse, tanto da rendere curiose persino le memorie dei governanti e dei cuochi.”

Almeno su un punto si può essere d’accordo con Proust: quello del carattere interessante delle memorie dei cuochi, a condizione che appartengano alla fucina/cucina di Giuliano Brenna...

Ho espresso sopra, en passant, ma certamente non con atteggiamento ex professo, la mia ammirazione per i poeti e il mio amore per la poesia (pur non essendo poeta), in quanto convinto che il fascino di un sorvegliato e ispirato poetare, musicalmente concepito, che riduce richiami eruditi, citazioni, aneddoti, ricordi personali a vibratili particelle di versi, ad “atomi di luce e di bellezza”, rappresenti per chi ha la fortuna di essere poeta una condizione privilegiata dello spirito, che non può che suscitare “invidia” da parte di chi poeta non è. Ha scritto Emilio Cecchi (In una galleria di statue) che “ tutti i nostri pensieri, comunque tenui, sollecitano e smuovono il passato. Il passato che non ha volto se non lo guardiamo. Ma tutte le volte che lo guardiamo ha mutato volto”: credo che chi va “alla ricerca del tempo perduto”, se non è… Proust, ha la speranza (o la fortuna) di trovare il suo Tempo attraverso la poesia, che riesce a dire… l’indicibile, specialmente quando si tratta di esprimere “la mélancolie d’un souvenir” – quel sentimento che racchiude un’intima disposizione, che tende a cogliere ciò che vibra agli angoli delle labbra del poeta – così frequentemente presente nell’animo dei proustiani.

 

Per quanto riguardo i contributi in prosa dell’Antologia, voglio innanzitutto dire che mi appaiono tutti ben ispirati perché – per dirla con parole di Proust – “parlano di quello che amano”.

Scritti rievocativi di ambienti visitati o sognati, suggestioni di letture amate, nostalgiche rivisitazioni di momenti di vita vissuta, di incontri mancati, di attese e speranze, sul filo della commozione e della nostalgia, che certamente susciteranno tra i tanti lettori il desiderio di rileggere, approfondire, conoscere l’opera proustiana e – perché no – di venire a Napoli a visitare il Giardino di Babuk, luogo proustiano indimenticabile e misterioso che nasconde, sotto una lussureggiante vegetazione racchiusa da antiche mura, un ipogeo scavato nel tufo, dalle cui pareti occhieggiano strane incisioni di segni araldici, salamandre, croci bizantine e latine, edicole votive: un mondo esoterico – giardino e ipogeo – che con la sua stratificazione può magicamente alludere ad un’opera complessa, multiforme ed inesauribile come la Recherche.

Dire dei singoli numerosi scritti sarebbe arduo, nell’ambito di una presentazione dell’Antologia che vuole innanzitutto mettere l’accento su una scelta felice, quella di un appuntamento annuale per raccogliere, nell’anniversario del “compleanno” di Proust (10 luglio) il risultato dell’impegno e della riflessione dei tanti amici lettori e di studiosi “en titre”, che insieme celebrano la grandezza di un Autore universalmente amato. Non posso però sottrarmi alla tentazione di esprimere il mio plauso nei confronti dei contributi di Franca Alaimo (“La cattedrale di Amiens e l’incontro con Marcel Proust”) e di Valentina Corbani (“Leggere la Recherche. Cattedrali sommerse riaffiorano”) che ho avuto modo di conoscere e apprezzare in occasione della omonima Tavola Rotonda da lei organizzata e introdotta, svoltasi a Parma l’11 novembre 2011, con la partecipazione di Eleonora Sparvoli dell’Università di Milano (“Proust e l’architettura della Recherche”) e mio (“Proust-Croce: un eterno rifiuto”); moderatore dell’incontro Giulio Iacoli dell’Università di Parma.

Ho “derogato” alla determinazione di non riferirmi ai singoli contributi dell’Antologia per un motivo che molti amici de LaRecherche.it intuiranno facilmente: l’essere il tema del rapporto Proust/Cattedrali uno spazio di elezione dei miei studi proustiani, che ho espresso con un saggio pubblicato in ebook da LaRecherche.it che, a giudicare dall’attenzione ricevuta, direi che non è passato… inosservato (www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=93).

Desidero però offrire agli altri autori non citati, per porre riparo al torto di non aver neppure scelto “fior da fiore” (come elegantemente di norma viene fatto nel presentare un’antologia, giustificando silenzi e omissioni con l’angustia dello spazio concesso, ecc.) un suggerimento per un loro futuro viaggio, dedicato alla… recherche delle cattedrali francesi: visitare quella di Reims; un “voyage à Reims” di rossiniana memoria. Lo feci qualche anno fa e credo che rimarrà uno dei ricordi migliori dei tanti viaggi in Francia. Il visitatore di quella cattedrale viene dalla guida “trascinato” verso l’“Ange de Saint-Nicaise” della facciata principale, “ange au sourire”, quello che ha reso famoso il “sorriso di Reims”, al riguardo del quale Luigi de Nardis (“Il sorriso di Reims”, Cappeli editore, 1960) ha fornito una illuminante interpretazione che val la pena riportare, quale omaggio riparatore per le omissioni di cui sopra. “E non è a dire che il primo incontro possa risolvere, in chi vi si avvicina con un’intima disposizione a cogliere ciò che vibra agli angoli delle sue immobili labbra, quel difficile momento in cui l’opera d’arte è intuita, ma non ancora sentita: di fronte all’angelo di Reims accade ciò che accadeva al “narratore” della Recherche, quando Albertine gli eseguiva sulla pianola brani che ancora conservavano per lui un carattere misterioso, un senso ancora inviolato. Difeso da un alone misterioso, l’angelo è come il brano musicale di cui parla Proust, e sembra richiedere perentoriamente altre “ esecuzioni” per svelarsi a poco a poco: direi che il suo linguaggio non offre appigli alla nostra comprensione se non in un clima familiare, di affettuosa consuetudine. Forse per questo, lo stesso Proust preferiva il sorriso della Vierge Dorée della cattedrale di Amiens al sorriso della Gioconda e anteponeva, ben conscio certamente delle proporzioni, al capolavoro di Leonardo, a questa figura femminile “sans patrie”, la presenza costante e discreta, divenuta ormai familiare, della Vergine di Amiens, così cara al suo Ruskin”.

Per tornare all’Antologia, mi preme sottolineare che la natura composita della raccolta, prose, poesie, rievocazioni, testi di Proust, ecc. non deve far pensare a un quadro di frammenti diseguali, quanto piuttosto a una convergenza di temi che, al momento stesso di dispiegare l’ampiezza e la varietà del repertorio dei vari contributi, ne conferma diffuse doti di sensibilità e di acutezza e svela il tratto unitario di interesse per l’opera e per la figura di Proust, che ha determinato atteggiamenti esegetici che spaziano con viva curiosità su una estesissima tastiera di pretesti critici e di sfumature analitiche. Essa si presenta in tal modo con una notevole quantità di scritti che si saldano in un unico tessuto, contrassegnato in molti casi da incisiva capacità di penetrazione e dal consapevole sentimento di omaggio alla figura del nostro Autore, con contributi che prendono le mosse talvolta da argomenti collaterali e di raccordo ma sempre criticamente puntuali, a conferma e come testimonianza di una fascinazione intellettuale per la quale l’impegno e la dedizione nei confronti di un’opera multiforme e complessa come la Recherche è già un sicuro titolo di distinzione: proustiani non si nasce, ma lo si può diventare! L’esistenza di una rivista letteraria come LaRecherche.it contribuisce sicuramente a stimolare la crescita di nuovi lettori e nuovi amateurs: l’Antologia, con la sua cadenza annuale, rappresenta un appuntamento da non mancare.

Leggendo i vari contributi, trovo quelli di autorevoli studiosi, alcuni dei quali collaboratori della rivista “Quaderni proustiani” dell’Associazione Amici di Marcel Proust (www.amicidimarcelproust.it) e di altre persone entusiaste che ho avuto modo di apprezzare attraverso la rivista letteraria LaRecherche.it, che ha voluto onorarmi invitandomi a presentare l’Antologia; trovo anche nomi a me sconosciuti (ma che la scelta felice di allegare i profili biografici me li rende ora vicini), tra cui dei “semplici” amateurs che hanno voluto manifestare il loro interesse e la partecipazione appassionata ad un’impresa per la quale un ringraziamento corale va indirizzato a Roberto Maggiani e Giuliano Brenna, promotori infaticabili di un’iniziativa condotta con impegno, entusiasmo e competenza.

Tra i tanti pregevoli scritti contenuti nell’Antologia voglio ricordare – anche per dovere di ospitalità – quello di Florence Godeau sull’animalità nella Recherche, pubblicato nell’ultimo numero del Bulletin Marcel Proust (n° 61-2011) e che ora viene proposto nell’eccellente traduzione di Laura Cherubini Celli. Per la vastità dei riferimenti agli amati piccoli felini esso costituisce un omaggio alla numerosa famiglia dei proustiani/gattofili: è questo il motivo per cui il saggio di Florence Godeau viene presentato da me nell’Antologia con un titolo editoriale amorevolmente gattofilo: “Proust, i gatti, Babuk”, accompagnato dalle foto di due gatti di cui uno – absit iniuria verbis – certamente più famoso dell’altro, per essere riuscito a intrufolarsi nel sito www.amicidimarcelproust.it e a dare il nome a un Giardino e a un Ipogeo ormai famosi…

Rimanendo ancora in tema (i gatti erano amati da Colette, Céline, Gide, Léautaud) mi preme segnalare un saggio di Philippe Chardin, che abbiamo inserito nel sito proustiano suddetto, nella sezione “Altre pubblicazioni”, con una bella foto di Colette circondata da due gatti: il titolo del saggio è già di per sé una chicca: “Jalousie des animaux et animalité de jalousie. Belle et bête jalouses dans La Chatte de Colette”.

 

Non posso infine tollerare l’idea che qualche eventuale distratto lettore dell’Antologia (ma non credo ve ne siano) corra il rischio di privarsi del piacere di leggere il “pezzo” di Elio Pecora (“Proust, a proposito del giardino di zia Léonie”) al quale mi permetto di attaccare un’etichetta: perfetto. Sintetizzo così il mio giudizio per vincere la “mozione degli affetti” che mi indurrebbe a narrare del giardino della mia infanzia e di quello della maturità (il “Giardino di Babuk”) cui ho fatto cenno in questa Introduzione. Non lo faccio perché non sarebbe la sede per farlo ma anche perché, come ha scritto Irena Conti nella presentazione di “Giardini” del polacco Jaroslaw Iwaszkiewicz (Editori Riuniti, 1979), “I ricordi sono i ladri del tempo presente e bisogna cancellarli dalla grammatica del cuore”. Elio Pecora non li ha cancellati: nella brevità di una pagina fa rivivere tre giardini: quello della Recherche, quello della madre e quello suo: tre frammenti che compongono, à la Flaubert, quello che parafrasando il titolo del bel libro di Diane de Margerie potremmo chiamare “Il giardino segreto di Elio Pecora”. Non “entro” nei suoi due giardini privati, ma oso sbirciare in quello de la tante Léonie che egli ricrea e interpreta: ne ha colto il senso profondo, che ha esteso al gran libro (la Recherche) che – come ha espresso magistralmente – “non è realtà comprovabile, così i giardini”. Voglio sottolineare questa verità citando Iwaszkiewicz che nel libro sopra segnalato scrive: “Questa mia opera dal titolo ‘I GIARDINInon è un capitolo dei miei diari o ricordi. È un genere di composizione fatta di paesaggi, di uomini, di eventi che sono realmente esistiti, o si sono formati nella mia immaginazione, messi insieme come determinate unità,attraverso la loro sistemazione topografica, nei giardini della mia vita. Queste piccole immagini si possono decifrare come si vuole, ma è pericoloso riferirsi ad esse come a prove storiche di eventi o di caratteri. Sono molto lontane dalla precisione e in esse vie è più ‘Dichtung’ (poesia) che ‘Wahrbeit’ (verità)”.

Il panorama degli studi e delle ricerche intorno all’opera proustiana trova naturalmente nelle riviste specialistiche momenti “alti” di riflessione, che certamente sono indispensabili per mantenere nel tempo viva e vitale la presenza del nostro Autore, specialmente in quella rappresentazione performativa costituita dal “canone letterario” mutevole nel tempo. Ma quanti sono i lettori delle riviste specialistiche? La risposta è di comune percezione: senza scomodare i posteri (perché la sentenza non è ardua...) possiamo dire che si tratta di pochi “eletti”, che lo fanno per lo più per motivi professionali e talvolta per genuino interesse culturale, che in quel caso richiede però spesso un’“attrezzatura” che va al di là di un approccio meramente conoscitivo.

Siamo a questo punto giunti al cuore della validità di un’impresa come quella de LaRecherche.it, che attraverso le sue pubblicazioni (“cliccatissime”), i suoi ebook costantemente visitati e scaricati, realizza una informazione (e una formazione) dei lettori che ha del “miracoloso”. Quindi pienamente motivato il ricordo e la celebrazione dell’anniversario proustiano ogni anno.

Nel momento in cui scrivo, non posso non ricordare che l’anno prossimo, 2013, ricorre il centenario della pubblicazione del primo volume della Recherche (il Swann) che apparve in libreria il 14 novembre 1913. Dopo un lavoro di anni, fatto anche di sospensioni, di arresti, di riprese, di tagli, di aggiunte, usciva, già rifiutata da altri editori, la prima parte della Recherche, Du coté de chez Swann, in una tiratura di 1750 esemplari, presso Bernard Grasset. E iniziava così nella vita di Proust la stagione della Recherche, l’età insieme del battesimo e della passione.

Per celebrare l’avvio di quel percorso che si concluse nel 1927 con la pubblicazione del “Tempo ritrovato”, fervono quest’anno numerose iniziative, tra le quali si segnala il convegno di Cerisy-La-Salle in Normandia (27 giugno/4 luglio) ed altre importanti occasioni di incontro e di studio che sono state già svolte o programmate. Il convegno di Cerisy “réunira des spécialistes confirmés de l’oevre de Proust venant du monde entier, ainsi que des chercheurs plus jeunes”.

Va ricordato al riguardo il seminario svoltosi all’ITEM (Institut des Texte et des Manuscrits Modernes) nel corso di vari mesi a Parigi, coordinati da Nathalie Mauriac Dyer e da Philippe Chardin e la conferenza recentemente svoltasi presso l’Alliance française di Avellino, dal titolo “Proust avant Swann”. Nel contesto delle celebrazioni del Swann merita di essere ricordato lo spettacolo “Un amore di Swann” nella traduzione di Giovanni Raboni, andato in scena il 23 maggio scorso a Firenze, nel cortile del Bargello, con regia di Federico Tiezzi e drammaturgia di Sandro Lombardi (il cast: Swann – Sandro Lombardi; Odette – Elena Ghiaurov; Madame Verdurin – Iaia Forte). Il programma di sala è costituito da un prezioso volumetto che contiene – tra l’altro – quindici ritratti di Nadar. Lo spettacolo verrà dato a Roma probabilmente nell’autunno prossimo, ed a Napoli nel 2013: in tale occasione nel “Giardino di Babuk” verrà organizzata una festa in onore di Sandro Lombardi, che non è solo un attore valentissimo, ma anche scrittore e saggista. Ai pochi (ahimè!) amici de LaRecherche.it che sono lettori dei “Quaderni proustiani” – ma fortunatamente Giuliano Brenna ci ha dato una pregevole recensione dell’ultimo numero (www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Recensioni&Id=515) – ricordo che proprio in tale numero è stato pubblicato un ampio e importante saggio di Sandro Lombardi dal titolo “I teatri segreti di Marcel Proust”: quasi un anticipo di celebrazione del centenario del Swann.

Non può passare inosservato il felice titolo, “Da Illiers a Combray”, che i curatori Giuliano Brenna e Roberto Maggiani hanno scelto per l’Antologia di quest’anno: un titolo che evoca un percorso ideale, che richiama alla mente quel “pellegrinaggio” che André Maurois aveva intravisto molti anni fa, quando scrisse questa mirabile e toccante frase: “Al principio era Illiers, un borgo di duemila abitanti, ma alla fine è Combray, patria spirituale di milioni di lettori, sparsi ora su tutti i continenti, e che domani si allineeranno lungo i secoli, nel Tempo”.

Anche il sottotitolo – “L’impronta di Marcel Proust nel cuore della Francia” – merita una menzione, perché evoca un “pellegrinaggio” reale che molti amici de LaRecherche.it hanno già fatto, dando un contributo di pensiero e di emozioni sul viaggio che emerge suggestivamente dagli scritti presenti nell’Antologia e dalle immagini di luoghi, tabelle viarie, scorci di ambienti visitati, che ricreano in chi quel viaggio lo ha fatto in tempi più lontani il ricordo struggente di un’esperienza indimenticabile.

Ma “tarde non fur mai grazie divine” (Machiavelli): per chi non c’è già stato, o vuole tornare di nuovo in un luogo dell’anima dei proustiani, o anche per chi cerca un’esperienza diversa c’è quest’anno la possibilità di farlo: il “Festival Proust à Cabourg”, la prima edizione avrà luogo il 21, 22 e 23 settembre 2012, con il Grand Hotel come epicentro: giornate musicali, concerti, concerti-letture, conferenze, spettacoli, visite sui passi di Proust (www.amicidimarcelproust.it/eventi.asp).

Che dire poi, accennando all’analisi della struttura e dell’organizzazione dell’Antologia, di quella chicca costituita dalla “colorazione” dei contributi: Verde: poesia; Celeste: prosa; Arancione: saggi. Manca un colore: quello delle fotografie (e disegni) che sono parte essenziale e “fascinosa” di questa Antologia. Si dirà che si tratta di un’antologia di scritti e che le foto e i disegni sono degli addenda. La realistica considerazione di quanto spazio hanno oggi le immagini e tutto quello che rientra nel campo del visivo non ne consente l’esclusione nella valutazione della composizione e della struttura di un testo. Quindi si sarebbe dovuto aggiungere un altro colore: il Nero, per il riferimento alla camera oscura, o il Chiaro (che colore è?) in omaggio a Roland Barthes e al suo saggio sulla fotografia (“La camera chiara” – Einaudi, 2003). Ai curatori dell’edizione della futura Antologia del 2013 la scelta! Molte fotografie dell’Antologia sono “artistiche”: uso un termine d’antan, oggi in parte desueto, in omaggio a chi della fotografia artistica è stato il cantore: Paolo Costantini, che col suo libro “La fotografia artistica. 1904-1917” (Bollati Boringhieri, 1990), ha ricostruito la storia di una prestigiosa rivista pubblicata a Torino tra il 1904 e il 1917, che si intitolava La Fotografia Artistica. Rivista internazionale illustrata, che traduceva nella pratica un programma ambizioso: legittimare la fotografia come una delle arti visive, in un fitto scambio di idee col movimento internazionale e lungo il filo conduttore di una tendenza alla modernità che rivendicava la fotografia come un “linguaggio” particolarmente congeniale. Programma risultato nel tempo vincente, che ha determinato una vera e propria rivoluzione nel campo dell’editoria. La suddetta rivista era diffusa su scala nazionale e nota anche all’estero. C’è da chiedersi se Proust l’abbia mai conosciuta: la domanda bisogna porla ad Annamaria Contini e al su libro “La biblioteca di Proust” (Nuova Alfa, Bologna, 1988).

Il riferimento al libro di Paolo Costantini è importante non solo perché quell’arco temporale è coincidente col periodo di maggiore operatività di Proust, ma perché Proust ebbe una passione maniacale per le fotografie: ne possedeva a centinaia e le mostrava con orgoglio ad amici e visitatori durante le visite, per lo più notturne, che i biografi hanno più volte ricordato. Forse fu una passione nata da fanciullo, quando riceveva in regalo dalla nonna – come ci ha raccontato nella Recherche – le foto dei monumenti e delle opere d’arte. “Avrebbe voluto che io tenessi in camera mia le fotografie dei monumenti o dei paesaggi più belli. Ma al momento di acquistarle, e benché l’oggetto rappresentato avesse un valore estetico, le sembrava che la volgarità, l’utilità riprendessero troppo presto il sopravvento nel modo meccanico della rappresentazione, la fotografia. Cercava di giocare d’astuzia e, se non di eliminare del tutto la banalità commerciale, almeno di ridurla, sostituendola il più possibile con altra arte, inserendovi, per così dire, svariati “spessori” d’arte: invece della cattedrale di Chartres, dei giochi d’acqua di Saint-Cloud, del Vesuvio, si informava da Swann se qualche grande pittore li avesse effigiati, e preferiva regalarmi le fotografie della cattedrale di Chartres dipinta da Corot, dei giochi d’acqua di Saint-Cloud dipinti da Hubert Robert, del Vesuvio dipinto da Turner, il che rappresentava un grado d’arte in più. Ma il fotografo,escluso dalla rappresentazione del capolavoro o della natura e sostituito con un grande artista,riacquistava i suoi diritti nel riprodurre quell’interpretazione” (Dalla parte di Swann).

Dunque siamo riusciti a individuare una “pecca” dell’Antologia: la mancata “colorazione” delle fotografie. Peccato veniale, che si lascia perdonare per i tanti pregi e meriti dell’Antologia che ho tentato di illustrare (ecco ancora una parola… fotografica) nella presente introduzione. Ma come spesso si dice, la critica deve essere costruttiva. Allora mi permetto di avanzare una proposta a Roberto Maggiani, fotografo “en titre” e formulare dei suggerimenti. I proustiani doc sanno che la iconografia proustiana è piuttosto scarsa: lo si può verificare confrontando le tante pubblicazioni esistenti al riguardo, nelle quali chi da lunghi anni si occupa dell’opera di Proust raramente ha la sorpresa e il piacere di vedere un’immagine “inedita”. In un qualche modo, anche il corredo fotografico dell’Antologia di quest’anno lo conferma: certo, ce ne sono di nuove – tutte molto evocative – ma accanto ad altre che rientrano nella “visiografia” tradizionalmente nota, sempre opportunamente collocate nel posto giusto, a “commento” dei testi scritti o ad ambientazione della sezione tematica del Sommario. Accanto alle foto, l’Antologia ci offre anche alcuni disegni assolutamente originali, per i quali voglio esprimere il mio plauso per gli autori. Ecco allora la proposta: un ebook fotografico che Roberto Maggiani potrebbe realizzare assemblando tutto quello che finora è apparso ne LaRecherche.it, aggiungendo altre immagini (foto e disegni) non “canoniche” ( nel senso di estranee alle tante raccolte esistenti cui facevo sopra riferimento). Sono sicuro che ne risulterebbe una pubblicazione di grande suggestione, che avrebbe il merito di regalare agli autori delle illustrazioni il piacere di rivivere emozioni e ricordi di viaggi e perché no, di… incontri e avventure che sempre (o spesso) il viaggiare comporta. A quel punto il certame fotografico cui ho fatto cenno potrebbe effettivamente realizzarsi, eventualmente col patrocinio del “Premio Paolo Costantini”, istituito negli anni scorsi per la saggistica sulla fotografia ma che annovera tra le sue finalità anche quella di favorire la crescita della cultura fotografica e più in generale artistica in Italia. La proposta è lanciata: ai fotografi proustiani la sfida…

Per farmi perdonare il rilievo critico riguardante la mancata classificazione dell’apparato fotografico dell’Antologia aggiungo subito, con riferimento alla struttura della stessa, che anche il Sommario e l’Indice si lasciano grandemente apprezzare, per il notevole sforzo di un incasellamento dei contributi secondo un’idea dominante che è quella di un andamento ideale, un viaggio tra versi, parole, immagini che trascineranno il lettore nel mondo proustiano tanto amato.

V’è da dire in verità che in presenza di “materiali” così eterogenei – che sono espressione della grande ricchezza della “famiglia” che Brenna, Maggiani e collaboratori sono riusciti a riunire intorno alla loro annuale avventura di una Antologia ricca di spunti, ispirazioni e, perché no, di aspirazioni a farsi conoscere e apprezzare da un vasto pubblico – non era agevole costruire un percorso tematico credibile, quello delineato dal Sommario, e poi l’incasellamento dei vari “pezzi” in un Indice che si presenta con la dignità di una pubblicazione di alto profilo, che troverà – ne sono certo – un’accoglienza largamente premiante da parte dei lettori. Chartres, Tansonville, Balbec, Trouville, Rivebelle, La Raspelière, Féterne… e ritorno a Combray (che è poi anche un ritorno a Guermantes). Vous avez dû voir qu’autour de Combray il y avait deux côté, le côté de chez Swann, ou côté de Méséglise, et le côté de Guermantes. Comme le premier volume était sur la vie de Swann, cela faisait une sorte de métaphore” (Proust in una lettera a Louis de Robert).

L’Antologia di quest’anno si presenta quindi come un “Proust e dintorni”, che rubando un titolo a Giovanni Macchia ci consente di spaziare in differenti domaines, dove le suggestioni letterarie s’intrecciano con le emozioni visive di un corredo d’immagini che di per sé costituiscono un viaggio del presente nel passato (“La mémoire, explorant le passé, prépare l’avenir tout en identifiant le présent”- Jean-Yves Tadié).

 

Dunque per quest’anno manca il colore distintivo dei contributi fotografici (e dei disegni, nei quali spesso – e in verità maldestramente – Proust si cimentava). Accontentiamoci di quello che passa il convento G.B.-R.M. (un po’ di cifrato esoterismo non dispiace…) ed andiamo alla… conta dei colori: verde, azzurro, arancione.

Ne emerge imperiosa la presenza delle poesie, a conferma della circolarità delle idee: una introduzione – quella che qui concludo – che ho iniziato con una riflessione sulla poesia e chiudo con un saluto, innanzitutto ai tantissimi poeti, consegnando loro una notazione di Luciana Frezza, efficacemente racchiusa in un titolo evocatore di un’assenza (“Un angolo incolto dell’immenso giardino”), che così scrive: “E del resto, quante volte Proust ritorna, nella Recherche, sulla petite phrase della sonata di Vinteuil, senza che gli riesca, in definitiva, di catturarne il fascino, di decifrarne il messaggio? Associata dapprima a immagini di una bellezza insolita, poi a Odette, la petite phrase resiste al lungo assedio della ragione e si rifiuta di cedere la sua anima alle parole”. Mi piace pensare che se Proust avesse avuto anche il dono della poesia, se avesse coltivato anche quest’angolo del suo immenso giardino, avrebbe sicuramente trovato le parole per decifrare quel messaggio…

Non mi resta allora che raccomandare, come ha fatto Luciana Frezza, di cercarvi… la Recherche, di averla sempre, leggendola, se non proprio sottomano, almeno “nel cielo della memoria”. Ma di avere tra le mani invece quest’estate, al mare, ai monti o in campagna l’Antologia della “premiata ditta Giuliano Brenna – Roberto Maggiani”.

 

*

 

SOMMARIO
[ Leggi l'antologia ]

 

 

INTRODUZIONE di Gennaro Oliviero

 

LA PARTENZA: TRENI E STAZIONI

IL VIAGGIO: CHARTRES E LE CATTEDRALI

IL GIARDINO DELLA ZIA LÉONIE

LA VIVONNE

UNA APPARIZIONE A TANSONVILLE

I CAMPANILI DI MARTINVILLE

L’INVERNO A PARIGI

I MELI IN FIORE

L’ESTATE A BALBEC

TROUVILLE E RIVEBELLE

LA RASPELIÈRE E FÉTERNE

IL RITORNO A COMBRAY

 

«DANS CE TEMPS-LÀ...»

 

NOTE SUGLI AUTORI

NOTE E RINGRAZIAMENTI

INDICE



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