Tanti anni fa, quando andavo a trovare mia nonna nella sua strana casa piena di oggetti antichi, o semplicemente vecchi, accadeva che ella mi mostrasse dei libriccini, generalmente in piccolo formato, con delle rigide copertine scure, sovente sbiadite dall’uso. Le storie narrate in questi libretti avevano come protagonisti dei fanciullini, talvolta buoni e docili, tanto da essere tratti su di una nuvola o accompagnati da graziosi cherubini, talaltra i bimbi erano cattivelli, solo un po’ golosi o un po’ birichini, ma per la morale dell’epoca erano cattivi, tanto da essere portati sottoterra da arcigni diavoletti, circondati da nuvolette di zolfo. Erano le cosiddette letture edificanti, che avrebbero dovuto porre gli animi ancora acerbi al riparo dalle tentazioni e dalle cattiverie. Ora, dopo tanti anni, mi sono ritrovato fra le mani un nuovo esempio di lettura edificante: un bimbo, Alberto, o Albi per gli amici, dopo che il padre ha abbandonato lui e la madre, e quest’ultima non sa come sbarcare il lunario, viene parcheggiato in un Istituto religioso, una sorta di orfanatrofio per bambini anche provvisoriamente orfani. Lungo le righe del libro sentiamo la voce di Alberto narrare in prima persona partite di calcio, giornate di studio, estati all’aperto a giocare con gli insetti o a ruba bandiera; non manca la pipì a letto, simbolo estremo di disagio infantile, qua assai tollerato e giustificato da suore e assistenti laiche. Dopo essere stata invocata e sognata ogni giorno da Alberto, la mamma torna e libera il figliolo dall’Istituto per riportarlo nel mondo normale con annessa iscrizione ad una scuola mista. La mamma, assai distratta, ritiene che il bimbo sia rimasto al punto di quando ella lo lasciò all’istituto e gli regala un libro per la primissima infanzia, sebbene Albi sappia già leggere fior di romanzi – viene spontaneo domandarsi questa madre che tipo di rapporto abbia col figlio e come viva la sua crescita, ma dalla lettura non è dato saperlo –, ma egli è contento delle carezze della madre e alla fine si accontenterà di una clamorosa bugia che metterà in pace madre e figlio.
Il racconto è per sua natura infantile, narrato dalla voce di un bimbo, che racconta cose di bimbo, è una specie di amarcord dell’autore che nell’introduzione evoca una sorta di processo di memoria involontaria di tipo proustiano, in cui basta poco per richiamare alla memoria anni lontani, sopiti ma mai dimenticati e sempre pronti a riapparirci con il loro carico di colori, gioie, malinconie, colori, e, per l’appunto, suoni, che ritornano da distanze lontanissime. Il libro contiene tutte le variopinte esperienze e sensazione che un fanciullino può vivere, talvolta l’ingenuità, cui non siamo più abituati, fa sorridere e fa tenerezza. Purtroppo come ogni diario di bambino, anche qui troviamo piccole distrazioni, errori di battitura e imperfezioni lessicali, che rendono a volte accidentato il percorso della lettura. Una lettura edificante, dicevo, dolce e zuccherosa, come un bambino che racconta le sue scoperte, con le sue semplici parole e il suo stupore. E sono certo che Alberto con tutte le preghierine dette e il bramare la madre potrebbe ben figurare in uno dei libelli della nonna, accanto a biondi e zazzeruti angioletti che si fanno beffe da una nuvola dei diavolini marroni rimasti incastrati nelle loro nefandezze.