Pubblicato il 28/09/2016 16:55:55
Credo che ogni poeta affronti un particolare percorso poetico che inevitabilmente termini per essere un cammino di scoperta interiore ed esteriore. Il primo caso concerne le riflessioni che la composizione, nel suo carattere ispiratore, scaturisce nel poeta. Già qui mi sembra di entrare in un campo personale, soggettivo, e non me la sento pertanto di stabilire affermazioni valide per tutti gli autori. Un interprete della musa, tale definisco in questo frangente chi si ritrova misteriosamente e subito nella situazione di dover imbattersi nelle sue primitive esperienze con la poesia, non può essere uno scrittore che di fronte ad una pagina bianca sostenga "adesso scrivo versi". Qualcosa di arcano, totalmente indipendente dalla sua volontà, lo sospinge. Cosi ho iniziato io. La scoperta esteriore invece avviene con le letture, che devono essere incessanti, e che permettono di dare forma letteraria, personale e fisiologica a quel percorso iniziato da un punto ben preciso e capace quindi di svilupparsi attraverso continui salti temporali, seguendo un indistruttibile filo comune. Nel mio caso la poesia pura, concetto che si riferisce ad un’estetica esistita ma anche a qualcos'altro che prende forma sotto gli occhi di chi, come il sottoscritto, ricerca, affronta un viaggio espresso da passioni recondite quasi senza scelta e senza spiegazione, e si riversa infine nell'opera attraverso un filtro. Il poeta è un essere animato, sospinto da misteriose passioni, oscuri talenti, che conosce le tappe del proprio cammino ma che non ha idea di cosa aspettarsi dal viaggio. Il mio, mi ha condotto all'ermetismo, e alla libertà dei versi sciolti da qualsiasi metrica che non sia quella che si trova subordinata all’indipendenza degli stessi, all'assoluta slegatura del componimento da una qualsiasi realtà che non sia quella del poeta prima, e in una fase più evoluta quella soltanto della stessa poesia, esistente in quanto viva, scatenatrice di bellezza, corpo e forma ormai distaccatasi non solo dalla realtà esterna ma anche dal suo stesso creatore. Ed ecco il mio approdo al creazionismo di Huidobro e di Diego. A quel sublime “da taschino”, surreale e fantasioso, che fa dell'armonia poetica di numerosi elementi, di numerosi piani, la sua grandiosa essenza. Il paradiso perduto, l'ignoto, si trovano ora nella stessa poesia, sopra e sotto le sue braci estetizzanti. La poesia non ricerca più il divino ma diventa essa stessa il proprio culto, non per un rifiuto, ma per necessaria deviazione. Se il poeta era un simulacro di carne capace di compiere un'evoluzione attiva, fino a controllare il proprio dono, ora gli effetti dello stesso hanno dato vita ad un nuovo soggetto animato, mobile, quindi autonomo, un altro da sé in quanto in sé. Più che un ridimensionamento filosofico direi, una consapevolezza. O un'ulteriore porta, se non la chiave maestra, verso altre realtà, codici interpretativi, conoscenze.
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