[ Recensione di Simone di Biasio ]
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Tv e politica nell'Italia del Mediaevo
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La videocrazia muore, gli italiani si svegliano
In questa età dell’opinione pubblica non c’è troppo spazio per la ponderatezza del discorso analitico.
(Michele Prospero, ‘Premessa’ a ‘Il declino della videocrazia’)
A leggere i giornali, a guardare le stesse televisioni, a fruirne in modalità nuove proprio non si direbbe. In fondo un film dal titolo “Videocracy” solleticò qualche anno fa l’opinione pubblica sui rischi di una dieta mediale troppo carica di proteine televisive. Eppure “il declino della videocrazia” è quello che prospetta Christian Ruggiero nel suo ultimo libro.
Nel mare magnum della comunicazione - e della comunicazione politica in particolare - si può segnalare con favore la nascita di una nuova collana ad essa dedicata da “Scripta Web”, casa editrice partenopea on-demand. Con lo stesso favore bisogna accogliere il lavoro di ricerca di Christian Ruggiero, che ha tradotto in libro la sua tesi di dottorato al Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale de “La Sapienza”.
“Il declino della videocrazia” non è un’ipotesi “forzata”, spiega lo stesso Michele Prospero, docente di Scienza Politica che ha curato la premessa al volume, dopo che “alla video politica progressiva che agitava i miti della iperdemocrazia ben presto subentrò una democrazia privatistica o ‘regressiva’ che vinse proprio come braccio come braccio secolare dell’antipolitica”. Ma c’è dell’altro.
Acutamente Mario Morcellini, Direttore del Dipartimento di Comunicazione a ‘La Sapienza’, osserva che “la comunicazione politica non ha fatto bene alla politica, almeno nella misura in cui ha finito per alimentare un aumento di opacità sui temi” perché “è sfuggita completamente - scrive Morcellini nella postfazione - l’ipotesi che la prevaricazione più sottile fosse quella della comunicazione sulla politica”. Poi la notizia: “E’ venuto il tempo di ammettere l’ipotesi che la società italiana abbia fatto passi in avanti rispetto al latifondo televisivo che non sembravano plausibili ai ricercatori”. Insomma, gli italiani hanno scoperto l’inganno del tubo catodico.
Per quanto riguarda il lavoro di Ruggiero in sé, singolare appare la descrizione della storia politica dagli Anni 80 ai giorni nostri per mezzo delle arene televisive, che si presentano ormai “come campo d’applicazione di una competenza a tutti gli effetti politica”, “al punto da giustificare non solo il parallelismo tra un talk show di seconda serata ed una (Terza) Camera del Parlamento, ma anche tra il suo conduttore e il Presidente di quella Camera”. Vespismo? Santorizzazione? Floris-mania? Mentanologia? Nient’affatto, la rassegna dei conduttori politici più in voga di questi ultimi vent’anni è utile semplicemente a capire meglio il rapporto tra comunicazione, poltica e, dunque, potere.
Se è vero che tanti hanno posto l’accento sulla politica mediatizzata (e tanti hanno parlato senza dire) il merito di Ruggiero risiede in questa volontà di anticipare l’avanzata del declino della videocrazia, pur peccando di una mancanza di prospettive che ne soppiantino lo spazio. Verso la fine del mondo videografico? Sì, ma almeno c’è ottimismo, sin dalle parole di Gianni Statera nel testo fondativo della politica-spettacolo, datate 1986: “Non è detto che la propensione allo spettacolo non si evolva in propensione allo spettacolo di qualità, e quindi alla politica spettacolo di qualità”. Peccato siano i politici a mancare di qualità. Ma almeno crediamoci: la meglio tivù “adda venire”.