Il mio libro ho sfogliato rapido.
Ai titoli principali, distrattamente
una fuggevole sbirciata. Narra
di un’amorfa superficie, piatta.
Anch’io ho sfogliato il mio.
Qualcosa di latente, la scrittura
nemmeno più la riconoscevo, quasi
d’apparire vissuto d’altri: il corso deviato
di un fiume, bloccato, e poi … esondato.
Con parenti e amici intenti a gridare
e scappare, a cercare salvezza altrove.
Ripudio il mio. Un abbaglio
solo ad aprirlo. Gemme e ori
da tutti i pori. Diamantate escrescenze
ne fanno un volume ingombrante.
Cesellato con altro, dall’arte distante
che ne fa monumento. Si sfoglia da solo
io … non centro più niente.
Io, invece, il mio l’ho sfoglio rapito.
Certo, il casino è tanto, pagine vuote
strappate, doppioni e pagine di farina
ancora sporche. Ho faticato a fare il pane
ma, tra le ultime scritte, della crescita
mi sono accorto, delle pagnotte mancanti
… e ne sono felice.
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