Itzak Katzenelson Canto del popolo Yiddish messo a morire
Ci sono, a mio parere, pochi testi di dolore immenso come questo.
Si tratta di quindici canti composti da quindici strofe in quartine.
É un canto disperato senza futuro di chi ha già visto la famiglia eliminata.
Scampato alla distruzione del ghetto di Varsavia, fugge per l'Europa con l'ultimo figlio.
Katzenelson quando viene catturato dai francesi nell'autunno del 1943, con il visto per l'Honduras, sa che l'attende l'ultimo binario.
Quello che lo porterà dove il popolo yiddish viene sterminato quotidianamente, e allora compone questo canto con l'ultima arpa.
Un dolore che squarcia l'anima, un grido che supera il tempo storico per renderci colpevoli di ogni e qualunque aberrazione umana.
Il poeta però non accusa solo i nazisti ma l'intera nazione tedesca (ottanta milioni di assassini), che non vale la lacrima di un yid infelice.
Nessuno si salva, nemmeno i rabbini, e l'urlo impotente si alza verso il cielo muto, senza profeti.
Come si può resistere all'immagine di quei vagoni che tornano vuoti pronti per il nuovo carico?
O degli orfani, la bellezza del mondo, i primi strappati dai loro lettini per essere messi a morte.
Questo breve testo spiega, più di ogni discorso, la tragedia che ha segnato perennemente l'Europa contemporanea a destare anche le più tiepide coscienze.
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