Pubblicato il 22/02/2020 10:37:18
Lento si stacca il punico legno dalla banchina deserta, sciabordano nella notte oscura ove cielo e mare si fondono le onde nerastre contro la prua simili a carezze di mani lascive; non una stella, nè la siderea luna han cuore d’assistere alla tua dipartita e nascoste si sono dietro un manto di nubi. Notturno. Scricchiola il ponte e battono secchi Sull’acqua i remi sonori Mentre tu ritto ti ergi e Non ti volgi indietro a guardare là oltre la poppa , ove lontana si fa la terra che un tempo tua dicevi e che portasti in alto sul podio della gloria ma ora già si arrende al nemico Carthago la Bella, Carthago la madre profana che il figlio più amato ha venduto affinchè piccoli uomini di sé indegni sé stessi fan servi e il collo presto servono al giogo del romano padrone. A fatica trattieni di sdegno una lacrima dall’occhio sano che lontano scruta nel buio e guarda l’altro dentro di te e ogni cosa conosce e ti svela. Aletheia regna sovrana nello spazio del giusto. Si volge allora l’animo all’invitto cuore e si fanno saldi insieme rimembrando l’antico giuramento eterno di odio perpetuo ai figli di Roma che bollente scorre nelle vene simile a fiume di lava e risveglia alla mente purpureo l’impegno solenne. Lasci alle spalle Carthago la Bella e punti la prua su Tiro fenicia che là, salda oltre il buio, attende che torni il più glorioso padre tra i figli. Né più mai vedrai le sacre natali sponde e le vie per le quali bambino correvi giocando alla guerra, le piazze familiari, crocevia dei popoli, il richiamo alla preghiera nella casa degli avi. Soffia sul mare una brezza leggera. Si china appena il capo di ricordi pesante sul petto e già gli occhi si fan pieni d’immagini di tempi che furono quando, giovane condottiero, stupisti il mondo e scrivesti il tuo nome col fuoco sulla schiena di Atlante reggitore del globo che si era fatto pesante dopo il passaggio sulle Alpi dei poderosi elefanti. Non l’inverno pungente di titanica neve nè le imboscate di celti furenti tra i picchi ghiacciati poterono niente contro la forza del sogno ed ecco che, oltre le montagne, si apriva ai tuoi piedi lasciva l’italica piana. Nulla aveva potuto a fermarti nemmeno d’Imilce l’amore, non la gemella progenie. Suonava cupa per Roma l’ora più triste. ‘Generale, generale, che fai non dormi? Solo l’alba alzerà il velo per noi sopra Tiro fenicia, fonda è la notte per chi nella notte cerca consiglio.’ Apri l’occhio buono e non c’è più la fertile terra d’Italia ma cupo e profondo mare che risacca e mormora di piccole onde lungo lo scafo veloce. Non mai una notte intera hai dormito in tempo di guerra né in quello di pace ma simile a un lupo strappavi un po' di sonno al tempo quando appena potevi, né mai lo volevi. Tempo per dormire ce ne sarà a iosa al di là della vita, hai sempre pensato. Difficile sembra orientare la nave nella notte che avanza come nella vita nessun vento è opportuno per chi non ha direzione ma tu hai fatto di te un astro nascente per illuminare la via e del tuo sogno ali al folle volo che ti ha portato lontano. Immensa è adesso la notte sul piccolo legno. Chiudi ancora gli occhi e con le mani ratte nell’aere disponi truppe e ai lati numidi cavalli e gli elefanti a tutti davanti per paura e stupore, tremi il nemico avanzando la piena potenza di Annibale il Grande! Gli dei non amano i tiepidi. Cala il terrore sulle genti d’Italia. In te rivive la gloria di Alessandro il Macedone e il furor guerriero di Achille uccisore di eroi, ma sei anche Ettore il misericordioso principe degli uomini e Agamennone generale di eserciti vittoriosi. Si alza la tua falce sulla pianura padana e tinge il Trebbia di rosso il sangue romano mentre mieti con forza e mano istruita alme di uomini come spighe di grano. Benedetto dagli dei, avanzi veloce e muti la sorte che pareva di Roma sul mondo aver fatto regina. E già sul Trasimeno fugace essi spandevano fumi di nebbia che di Flaminio agli occhi nascosero l’esercito audace. Simili a ciechi si moveano i Romani nell’algida alba che avrebbe fatto loro da tomba quando tu della battaglia desti il segnale; al tramonto oscurarono il cielo di fumo i fuochi di centinaia di pire né la sera ebbe cuore a tardare. Ogni cosa sembrò allora possibile e la libertà delle genti a un palmo di mano. Ma un nuovo astro faceva allora il suo ingresso nel cielo di Roma e desiderava guidarne le sorti né vollero gli dei svelarlo anzi tempo. A malapena da Canne un ragazzo portò a casa salva la pelle e a lungo pianse la morte dell’inclito padre, che come lui Scipione faceva di nome. Un mare di corpi copriva la terra d’Apulia ovunque l’occhio potesse guardare perchè migliaia di figli quel giorno vennero strappati dal cuore di madre della città fondata da uno dei gemelli di Rea antica vestale. La vendetta di Annibale contro l’arroganza di Roma accese nel cuore del giovane simile a fiamma la voglia orgogliosa di una divina rivalsa. Sorge l’eroe paladino nell’ora dove la notte è più buia simile al sole a peso portato sul carro dagli alati cavalli d’Apollo. E sempre l’alba sorprende chi con sé Morfeo non ha tratto. Un’ombra di sonno passa leggera dietro le tue palpebre chiuse, rolla e beccheggia la barca ma alcuna terra il buio profila. Tempo c’è ancora di ricordi e sospiri Perché quando la vittoria sembra ormai giunta Tosto s’allontana come Nike con un colpo di ali. Ed ecco che Capua ti costa una guerra e anni di fatiche e tormenti e vite di giovani eroi rimasti a morire in terra straniera. E’ davvero brutto lasciare le ossa lontane da casa. Non le lacrime amare dell’amata sposa né la cura di un figlio ne avranno memoria, non i dolori degli anziani genitori potranno lenire. Tombe senza un nome come il mare profondo si sono chiuse ormai su quei corpi da tempo e nemmeno il nome è loro sopravvissuto a futura memoria. Ma tu ancora vivi e batte il cuore caldo che di luce risplende nella notte sul mare. Morire da solo è l’eroico destino. Guarda. Che cos’è quella striscia sottile che aleggia biancastra sull’acqua e la rende più nera? No, non si sbaglia chi come te l’ha attesa per ore nelle innumerevoli guardie e tutto il mondo intorno sembrava dormire. Ecco!, si fa incontro veloce alla nave l’alba, vicino è il mattino e l’approdo di Tiro. Più fresca è l’aria all’intorno nell’ultima ora del buio. Ma un’ultima battaglia va ricordata prima del giorno e si apre davanti a te l’infuocata piana di Zama, simile a falco dall’occhio rapace ti libri alto nel cielo furente. L’umanità intera è schierata a battaglia. E tu vedi te stesso condottiero d’esercito lanciare feroce uomo contro uomo nello scontro finale ma già gli elefanti hanno esaurito lo slancio e imbizzarriti portano il caos tra i tuoi stessi soldati. Una nuova regia è in essere allora, gli dei hanno ormai scelto un nuovo Mercurio per parlare con l’uomo ed è un ragazzo che un dì chiameranno le genti e la Storia Africano. Ma ancora non sa che nel suo destino eterno c’è il nome che quel giorno scrisse nella sabbia di Zama. Oh, com’è amaro il gusto della sconfitta dopo aver libato per anni con calici gonfi di vittorie sublimi! Quanto pesa all’uomo riscoprirsi umano quando ormai era a un passo dal cielo. Ma già si chiudono le divine soglie davanti all’hybris del generale un tempo invitto. Niente è più bello di ciò che non è stato ottenuto. Crollano le file degli uomini una dopo l’altra, nulla di ciò che andava fatto era rimasto da fare. Mantengono la posizione i punici audaci e durano fatica gli astati romani ad averne ragione ma arriva di princeps e triari la linfa nova che vigore restituisce alla pugna offensiva. Accerchiato è l’esercito di Carthago la Bella che come novella Andromaca attende ormai dalla cima delle porte Scee la fine impietosa del suo divino Ettore domatore di cavalli. Calava così in terra d’Africa il sipario su Annibale il Grande e sul suo sogno di gloria, Roma imponeva allora il suo imperium a sigillo d’eterno comando. Si scuote l’eroe e si ritrova adagiato sul ponte, appena appoggiata la schiena. Già il sole è alto nel cielo e come lui tosto si leva e getta lo sguardo oltre la nave, giusto in tempo per vedere che nuova terra viene incontro e già Tiro sembra proporre al generale la solenne promessa di rinnovata vita. Il generale è l’ultimo ad abbandonare la nave.
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