Nel periodo storico in cui le sorti del pianeta erano decise dal presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan e la “perestrojka” del russo Michael Gorbaciov stava rivoluzionando la società sovietica, io mi apprestavo ad attraversare quella fase di grandi cambiamenti nella vita di una persona che difficilmente si dimentica.
Era l’inizio degli anni 80. Da adolescente timida ed impacciata mi affacciavo al mondo con una voglia inesauribile di vivere emozioni e, nell’epoca dell’apparire e dell’affermazione ad ogni costo, desideravo anch’io essere vista e trovare un posto da qualche parte che non fossero la famiglia o la scuola, luoghi che iniziavano a starmi stretti.
Dalla mia terrazza di un condominio alla periferia di Napoli osservavo il mondo come oggi si sbircia sui social network e la mia attenzione cadeva spesso sulle ragazze del mio quartiere che, ancheggiando con fare sicuro e sfrontato, lanciavano occhiate languide ai loro coetanei sui motorini, gettandoli in uno stato di confusione.
Strizzate nei loro jeans Levi’s e avvolte in giubbotti di pelliccia (secondo la moda del tempo), mi facevano molta invidia, non tanto per lo stuolo di ragazzini brufolosi appollaiati sui loro “Ciao”, quanto per quell’atteggiamento da dive vissute molto lontano dal mio modo di essere. Nonostante ciò, e grazie ad amici in comune, entrai nel loro giro ed iniziò così il periodo più esaltante della mia adolescenza. Ricordo l’impazienza di incontrarsi nei pomeriggi sotto i portoni a chiacchierare e ad organizzare uscite per il weekend, sentendoci veramente connessi.
I nostri genitori non stavano tanto a preoccuparsi per i mille pericoli, che forse già esistevano, ma non incutevano ancora tanta paura, per cui riuscivamo a goderci le strade e i luoghi di ritrovo senza troppe ansie. Il capo della comitiva, un tipo amichevole e cordiale il cui sorriso ricordo ancora con nostalgia, trascinava tutti con il suo entusiasmo, coinvolgendoci in mille iniziative.
Nel periodo natalizio ci imbarcavamo in allegre spedizioni nella via dei presepi, San Gregorio Armeno, per ammirare le bancarelle zeppe di pastori di terracotta che avevano le sembianze del goleador Maradona e dell’indimenticato Pino Daniele, accanto a quelle di Giuseppe, Maria ed il Bambino Gesù.
Senza avvertire il freddo e con la sensazione di onnipotenza tipica della gioventù, percorrevamo le vie del centro cullati dalla voce suadente di George Michael nella hit del momento, “Last Christmas”, che proveniva dalle auto ingabbiate nel traffico.
Ma i momenti più attesi della settimana erano le feste del sabato sera organizzate a turno nelle nostre case. Le ragazze curavano nei minimi dettagli il look, sperando di imitare lo stile di Madonna, la star internazionale del momento. Ricordo con quanta cura strapazzavo i capelli, attorcigliandoli in fiocchi di tulle, e impreziosivo le mie orecchie con bigiotteria a forma di croce, cercando di apparire trasgressiva.
Così abbigliate e sotto le luci specchiate della sfera roteante, ballavamo al ritmo della pop music, fino a quando un improvvisato deejay cominciava a rallentare il ritmo, introducendo l’inevitabile pezzo lento.
In quell’attimo la pista da ballo si svuotava, mentre gli angoli della stanza venivano presi d’assalto dagli invitati, terrorizzati dal momento tanto atteso ma anche temuto. Le ragazze speravano di essere invitate a ballare e così, se il miracolo si avverava, si ritrovavano tra le braccia del proprio lui e con gli occhi sognanti.
Nelle vie del centro invece vedevamo sfilare i “paninari”, ragazzi ossessionati dalle griffe che sfoggiavano i giubbotti Moncler e le scarpe Timberland con fare snob, mentre i nostri genitori si lamentavano dei prezzi che salivano in modo inaudito nel vortice consumistico di quegli anni, da cui inconsapevoli venivamo risucchiati.
Nel frattempo volavano i mesi e gli anni fino al sospirato esame di maturità, che decretò la fine dell’adolescenza e di quel decennio per noi esaltante. La spensieratezza era destinata lentamente a dissolversi, ma il futuro si prospettava roseo, con un bagaglio di sogni e progetti da realizzare senza la paura del domani.
Di quel periodo conservo ricordi indimenticabili, alcuni catturati grazie alla mia Polaroid, la macchina fotografica con cui mi illudevo di fissare momenti irripetibili attraverso sbiadite istantanee.
Oggi capita che qualche mio studente mi chieda:” Prof, ma com’erano realmente gli anni 80?”
Non so se furono così belli come li ricordo, rispondo, ma so che resteranno per sempre i miei favolosi anni 80, quando per dire “mi piaci”, lo facevamo guardandoci negli occhi.
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