Pubblicato il 16/07/2010 02:02:18
Monologo di Achab (dal “Moby Dick” di John Huston)
...è una giornata tranquilla, Starbuck, e un cielo d’un azzurro dolcissimo. Lento nel rotolio della risacca schiuma il Pacifico a lambire i corpi immobili degli Indios in attesa, dipinti e ornati per l’ultimo viaggio; salpano pigramente per l’eterno, da madre a madre saldando l’anello. Noi siamo cacciatori di balene, non pescatori d’anime, e l’arida pietà che ci è concessa affonda al cuore sul ferro acuminato dei ramponi, perchè la bestia sia spacciata in fretta e in fretta poi sia sbrigato il lavoro. Ma sotto gli occhi assenti di altri cieli, dai viali dei cecchini alle boscaglie flebili di sussurri al cauto lume di profughi bivacchi, ancora l’uomo dal cuore delle tenebre si apposta, e d’altri corpi, e di ben altra strage caninamente si nutre e si appaga. E al lugubre rintocco di campana che grida al mondo la notte dei vivi, nello schioccare all’osso dei machetes, nel miagolio selvaggio degli shrapnels su piazze inermi in coda per il pane uguale rulla il canto, uguale ringhia la consegna: non fate prigionieri. Non più sarà possibile innocenza, nessuna verità sarà accordata, nessuna fede più, se non l’orrore di cui rendiamo il computo esatto nei nostri inutili libri di bordo, Starbuck. E tutto il tempo questo cielo sorridente, e questo mare insondato, e la lusinga nel vento propizio d’altre dolci giornate come questa nel nostro tranquillo villaggio, quando sul molo sciamano i ragazzi in frotta al trepido richiamo dei battelli che annunciano il ritorno, e buona pesca; e mentre già si sta facendo sera, e calmo e lento si richiude il solco dietro le nostre spalle, sulle carte sbiadisce il segno, e affonda la memoria, ad inghiottire insieme i vivi e i morti.
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