Sinceramente, dopo tutto il tempo passato a rimuovere bestemmie e offese surreali dal mio profilo Facebook, ero tentata di lasciar cadere la faccenda, ma non lo farò, per due ordini di motivi. Il primo è che continua a sembrarmi preziosissimo pregare per le vittime del terremoto. Il secondo è che da questa assurda vicenda ho imparato alcune cose utili che vorrei condividere con chi lo desidera.
Per chi si era sanamente distratto dal mondo virtuale, riepilogo. La sera dopo il terremoto ero sul divano con tutta la famiglia, incollati a guardare i luoghi nei quali abbiamo trascorso le vacanze degli ultimi anni con gli amici più cari. Cercavamo volti e luoghi noti. Durante la giornata avevamo chiamato persone che erano ancora lì per capire se si potesse andare a dare una mano, ma la risposta, letterale, era stata: “la Protezione Civile sta cacciando tutti” (nel senso di tutti quelli che non sanno esattamente cosa fare in questi casi). A raccolte di cibo e soldi aveva pensato mio figlio. L’unica cosa che rimaneva da fare era pregare. Quando si muore nel sonno, o in pochi secondi, chissà, magari non si ha neanche tempo di raccomandare l’anima a Dio. Chissà in che condizioni erano quelle anime, pensavo. Se fossi al posto loro sarei felicissima che qualcuno mi presentasse al Padre chiedendo misericordia per me.
La mia amica, che conosceva quasi tutte le vittime, una per una, e con la quale ho condiviso l’idea la mattina dopo, siccome fa l’avvocato come lavoro di copertura, ma nella realtà è un’organizzatrice di amici, ha pensato istantaneamente che ognuno dovesse avere almeno una persona che pregasse per lui. Una per ciascuno. Lei si preoccupava per una in particolare di cui mi poteva dire per certo che difficilmente qualcuno avrebbe pregato per lei, e me l’ha affidata. Poi mi ha chiesto di mettere qui i nomi facendo una griglia in modo che ognuno abbia il suo asterisco accanto quando qualcuno si prenderà l’impegno di pregare per lui.
Ci sarebbero da spiegare un’infinità di cose su questo tema – la comunione dei santi, il purgatorio, l’indulgenza, le colpe e le pene, si potrebbe parlare per ore – ma non sono una teologa, mi basterebbe essere una teofila. La realtà è molto più semplice. È stato un pensiero naturale, quasi ovvio direi. Il culto dei morti è quello che ci distingue dalle bestie. Siamo nell’anno del giubileo della misericordia, e ottenere l’indulgenza non è mai stato così facile (ci sono stati tempi in cui la gente perdeva tempo, soldi, la vita a volte, per intraprendere viaggi lunghi e pericolosi, nella speranza di passare una porta santa e salvarsi l’anima). Facile solo a livello pratico: oggi il Papa lo ha reso possibile in ogni diocesi. Impegnativo come sempre a livello spirituale, perché una vera confessione implica necessariamente una seria conversione, l’impegno rinnovato a seguire Cristo e a fare gesti concreti per i fratelli. Mi sembrava che il mio pensiero fosse abbastanza scontato, e davvero non immaginavo di scatenare questo putiferio.
È successo invece che sui social me ne hanno dette di tutti i colori: la maggior parte degli insulti non li posso ripetere, perché sono una signora e ho un bonus di una parolaccia all’anno ma temo di averla già usata, per il 2016, e tra l’altro moltissimi non li ho neppure letti, perché twitter non lo so usare, e il profilo fb non lo gestisco da sola (quando hanno cominciato ero fuori, senza computer). Comunque non ho mai letto tante cattiverie e volgarità tutte insieme, credo che una povera umanità disperata si sia data convegno sul mio profilo. Quasi nessuno, ovviamente, è stato capace di articolare e motivare il suo disaccordo con questa idea, e il livello espressivo era davvero molto basso. Vorrei riuscire a pregare per ciascuno di loro, ma dovrete aiutarmi, sono troppi; sono certa che si tratti di povere creature ingannate, persone totalmente prive dei fondamentali della fede, persone che però sanno, confusamente, che siamo fatti per l’eternità, e che per questo temono la preghiera, perché intuiscono che c’è qualcosa di vero. Persone che desiderano essere amate come Dio ci ama, ma non riescono a crederlo (il demonio non ha tanta fantasia, usa sempre lo stesso trucchetto, dall’Eden in poi: vuole convincerci che Dio sta tentando di fregarci, togliendoci la libertà, invece è solo un padre che vuole il meglio per noi). Persone che non vedendo questo viso innamorato del Padre preferiscono catalogare la nostra fede come superstizione, e la richiesta di indulgenza come un rito magico. Persone che preferiscono nella loro condizione non ricordare che la morte ci attende tutti, e tutti dovremo andare davanti al Creatore, nella speranza che non ci dica “andatevene, io non vi conosco” (quelli che dicono che l’inferno è vuoto forse non hanno letto tutto il Vangelo). È paura, dunque, ma è anche una nostalgia dell’eternità, di un amore perfetto e grandissimo. Questa ce l’abbiamo tutti, e chi cerca questo amore nelle cose e nelle persone sta male, perché niente gli riempie il cuore.
Aggiungiamo la grande ignoranza dei fondamentali della fede (tra i più arrabbiati diversi sedicenti cattolici), e soprattutto l’esito di decenni di propaganda laicista che con scuole mediocri e mezzi di comunicazione mediocrissimi cerca di formare un popolo convinto di essere solo al mondo, di non avere niente sopra la testa, di non dover un giorno affrontare la morte. Per l’uomo di oggi l’idea di non essere totalmente autodeterminato è intollerabile: schiuma di rabbia e vomita offese, ciò che denuncia chiaramente la sua infelicità. Di fronte a questa umanità non si può che provare tenerezza, e non serve rispondere alle offese. La più bella è “sciacallo da tastiera”: vorrei sapere che ci guadagno chiedendo preghiere. Il mio blog è volutamente senza pubblicità (ci è stata offerta), e per gli oltre dieci milioni di clic non abbiamo preso mezzo euro, ma anzi abbiamo sopportato in due una mole enorme di lavoro, con l’aiuto ogni tanto di qualche amico. Non mi vengono in mente altri guadagni possibili per l’idea dell’indulgenza, sinceramente, ma si sa che il male è negli occhi di chi lo vede. La più ipocrita: la difesa della privacy. Gli elenchi sono pubblici, e ho visto colleghi spiare volti e storie, addirittura con la telecamera (se finisco sotto le macerie mentre dormo per favore pubblicate ovunque il mio nome per il suffragio, anche sui manifesti di dieci metri per dieci, ma se possibile non mi riprendete piena di calcinacci e in sottoveste; e se perdo un figlio non mi inquadrate mentre piango, ma pregate per lui). La più surreale: paragonare le nostre preghiere a una messa nera. La più da premio Nobel: ti denuncio (pensa il magistrato che riceve un esposto; il capo d’imputazione: richiesta di preghiere). La più diffusa: come ti permetti, e se loro non credevano? A parte che nessuno ha avuto da ridire contro i funerali in chiesa, che io sappia, cosa da cui deduco che le vittime fossero battezzate, comunque le preghiere e le messe non possono nulla di fronte alla libertà dell’uomo, confine che ferma, per il suo rispetto nei confronti dei figli, persino l’azione di Dio. Quindi se uno vuole andare all’inferno ci va (ma dubito che qualcuno possa davvero desiderarlo). La più banale: vai a scavare invece di scrivere (immagino che loro invece stessero digitando insulti da sotto le macerie).
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Infine, le cose che ho imparato. Non so quantificare l’entità del problema, perché rispetto al berciare di alcuni, ho ricevuto molte più conferme da persone che avevano pensato la stessa cosa e non si capacitavano delle polemiche (e un intero monastero ha aderito), ma di sicuro c’è una fetta della popolazione che pur vivendo nell’Europa che senza le sue radici cristiane non esisterebbe e nell’Italia in cui quasi ogni pietra parla dell’avventura cristiana, sono di un’ignoranza disarmante (per dirne una, ma questi Dante e Manzoni li hanno mai aperti? Hanno alzato la testa dallo smartphone per vedere l’architettura delle loro città disegnata dalle chiese e dai cimiteri e dai conventi e dagli ospedali e dalle biblioteche che dobbiamo ai fratelli cristiani che ci hanno preceduti?). Dobbiamo prepararci a rendere ragione della speranza che è in noi a questo tipo di persone. Dobbiamo sapere che il pensiero unico troverà sempre di più che la fede è ammissibile, ma solo nel privato. Potremo pensare cristiano, ma solo in chiesa. Per esempio, la cosiddetta legge antiomofobia che presto riprenderà il suo cammino prevede che si possa pensare dell’omosessualità quello che dicono san Paolo e il Catechismo solo nei luoghi di culto, ma se lo dici fuori da una chiesa vai in carcere, e ripeto carcere (nella prima stesura della legge non si poteva proclamare il catechismo manco in chiesa). Dobbiamo sapere che forse alfine ci verrà tolta anche la libertà di culto (il burkini è solo una prova di esercitazione).
Infine, dopo quello che è successo, ho pensato con uno sguardo un po’ diverso anche a Papa Francesco, al suo sbriciolare con parole semplicissime la nostra fede, per esempio al suo modo di parlare del matrimonio (tema a me più caro) con i suoi “permesso scusa e grazie” che alle nostre orecchie educate a volte suonano forse meno affascinanti della teologia del corpo di Wojtyla, meno stimolanti di certe lucidissime catechesi di Ratzinger. Il Papa evidentemente sa che sta parlando anche a quel tipo di persone, totalmente digiune dei pur minimi riferimenti, e noi, piccolo gregge, ci dà un po’ per scontati. Sa che siamo quella pecorella, una su cento, che è rimasta dentro l’ovile, e cerca di farsi capire da qualcuno che non sa proprio niente di niente di Dio. Cerchiamo di dargli una mano.
(Il blog di Costanza Miriano, 29 agosto 2016.)
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