Vorrei cominciare con voi lettori un breve viaggio, accompagnati da alcune mie poesie, per provare a tirare delle somme una volta individuata la direzione e forse la meta di questo cammino.
Mi è capitato in passato di scrivere liriche soffermandomi sulla definizione di poesia e di poeta, tradotta con una ricerca sospinta dai versi figli dell’ispirazione; il dettato spirituale, che pone sull’attenti ogni poeta, o almeno così dovrebbe. Devo precisare tuttavia, a questo proposito, che il mio percorso poetico si è diviso in due fasi, la prima delle quali legata a questo concetto di poesia che cade dal cielo, la seconda inerente ad una poesia nelle mani del poeta, dove mediante quei luoghi sepolti che usai simbolicamente per affermare la riscoperta di una nascita – prima sommersi e in seguito fatti riaffiorare grazie al consapevole dono del poeta – mi ritrovai di fronte ad un nuovo corso.
Restando per il momento dentro la prima fase, ecco comparire attraverso dei versicoli scarni, nudi, attirati chiaramente verso il basso dalla gravità – come delle pietre gettate in aria – i primordiali effeti della musa, concessa al mio sguardo in alcune penombre con pochi vestiti a ricoprirle il corpo:
Come vortici
su un binario
a tre fermate
spazzano l’anima
e il pensiero
lucidano
le parole
Come note
di soffici
neonati
sgretolate
nel sonno
poi si placano
i versi.
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Sfrega
paziente
due pietre
e un fuoco
arderà
una foresta
L’anima
del poeta
è una scintilla.
(I versi e In fiamme, tratte da Leunam)
Anche il personale ruolo del poeta, nella genesi della mia visione inizia a definirsi:
Scolpisco
realtà
limo versi
Vibro.
(Poeta, tratta da Leunam)
Abbandonati i versi lapidari ed entrato a stretto contatto con molti poeti quali Poe e Baudelaire, alla mia ossessione per la purezza poetica individuata nella poesia pura – quella che comincia proprio da questi e si evolve fino ai poeti maledetti del simbolismo francese, si contorce nell’oscurità mallarmeana e nell’ermetismo italiano (ma si manifesta davvero trasparente ne L’allegria di Ungaretti), fino ad approdare ai poeti cubani e a quelli dominicani della poesia sorprendida, passando per la Generazione del ’27 spagnola – si associa di pari passo un’indagine più approfondita, mediante quella veggenza, che assimilo e rielaboro con una definizione, cioè ricerca in direzione della Luce.
Definisco il mio viaggio come ermetico, fatto di iniziazioni, dove il protagonista è Ateop, o Leunam (personaggi di alcuni miei momenti poetici), insomma il poeta. Un viaggio avviato in un tempo lontano: quando da critico cinematografico analizzavo il blues, i suoi testi, e i film che il blues aveva ispirato. Il canto dei neri ha saputo diventare vera poesia (o forse lo era già), con la poesia negrista antilliana, per esempio.
Ma sto divagando. Cosa centrano insieme la voce di un uomo di colore, la veggenza rimbaudiana, ed Ermete Trismegisto? Forse c’è di mezzo Dio, Padre o Madre che sia. Da dove nasce questo desiderio di confrontarsi con il divino? Forse dal volere inconscio del poeta di avvicinarsi, senza far rumore, a lui, allontanandosi al medesimo tempo:
Mentre fuori ricompaiono cari amici,
dentro mi soffermo s’una riflessione
I caso (citando B).
Il numero delle anime è finito o infinito?
II caso (citando B).
Cos’è la caduta?
Se è l’unità divenuta dualità,
allora è Dio che è caduto.
In altri termini, la creazione
non potrebbe essere la caduta di Dio?
Dunque quegli eccessi intimi di tenebra
In cui confessiamo al nostro orecchio
D’essere Dio, e subito rei con vergogna
Abbassiamo il volume del pensiero chiedendo
Scusa col silenzio prima del pacifico sonno,
Non sono fatui inganni del nostro ego
Ma hanno consistenza buona se – tutti –
Siamo parte d’un grande corpo caduto in pezzi;
Quindi una de-creazione dove ogni relazione
Duale ci avvicina
Passo a passo al Dio unico.
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Quando la poesia ci muove alle lacrime
noi piangiamo per eccesso di un rammarico impaziente;
insistente, perchè come semplici mortali
non possiamo ancora banchettare con quelle estasi supreme
di cui la poesia ci concede solo una visione
fuggevole e indefinita.
Il corvo nero si posò
sulla statua di Pallade;
e fu frammento di saggezza notturno
impiumato di luce.
(Gnosi e Edgar, tratte da I Fiori di Ermete - Il sentimento del veggente, Saisons)
Ma per quanto provi a farlo, per quanto cerchi di avvicinarsi a Dio, il poeta non potrà che manifestare un amore e allo stesso tempo una ribellione nei confronti di qualcuno che sente d’amare, senza però voler rinunciare a un solo briciolo della propria umanità; perchè se Ermete nel Corpus hermeticum afferma, come pure molte religioni, che l’uomo è Dio e tale deve coscientemente essere per dimorare un giorno al suo fianco, il poeta, da parte sua, sostiene invece che è Dio a dovere essere uomo:
I
Vita è
La tua bocca piena di latte
Nella mia, e il brindisi altissimo
Del piacere e della Ragione,
Nel pene pensatore,
Lavoratore, supremo principe;
Io legato sulla spiaggia, afferrato
Dalle dita del mare
Ardente e paziente,
Finchè non muore.
E resta la solitudine,
E la saggezza del Re Puro:
Che non sa più di voi tutti
Ma che più di tutti non sa
Spiegarsi
Nelle menti spente.
Ermete!
II
– Ma non scordare, o Ermete,
Le grandi onde dei sensi,
Le costellazioni d’orgasmi,
Figlie dell’Intelletto;
Disegnano il sentire nelle volte!
Non dimenticare, o Ermete,
I cacciatori mortali, divini!
Nella loro pienezza, come tu affermi;
Che senza prole, sono più puri
Delle strabilianti Chiese che pesan
Sulle ginocchia scorticate di chi v’entra
Col capo ben obliquo;
Non far finta di non vedere, o Ermete,
Quanto sono uguali, alla luce del tuo Sole,
Il volo dell’aquila, il gatto nero
Che si scalda s’una tomba,
Il primo pianto del neonato;
III
Vivo di passioni, come vedi,
E lascio l’anima contemplare nella veglia
Del mio sonno; caccio, o Ermete,
Puro e con i miei vizi,
Anche Dio.
(Ragione e Intelletto, tratta da I Fiori di Ermete - I Lupi e i Corvi, I Lupi)
La risposta di Ermete non tarderà ad arrivare; si concluderà con un’ultima domanda, che sarebbe sconvolgente ai fini della ricerca del poeta se non fosse che essa risuona alle sue orecchie come una eco sempre più dispersa:
Vedi poeta, sul biancore del ghiaccio
le punte dei tuoi occhi si fermano,
e dell’immensità sottostante fra questi gemiti
la tua pelle oltraggiosa non percepisce,
devo ammettere ch’appare spessa di luce,
che la coda tagliente dei demoni nell’aria
il tuo spirito (troppo accecante per quelle
nere pupille, di pece e fiamme) pregustando;
sembra questo il tuo chiaro destino. Ti chiedo,
alzi mai gli occhi? A che altezza sorge
dalla tua anima la cima raggiunta?
Ellissi
Nondimeno la materia che tu imprimi,
seppur fatta di parola, non credi sia infine
poco dissimile dalle Statue? Non fosti tu
a dire che fatte sono le parole come le pietre?
Non devono far allora queste il volere divino?
Non è forse questo il loro compito supremo?
Non sei tu dunque, poeta, il guardiano del logos?
E non furono fatti gli uomini uguali a Dio
eppure mortali solo per governare le faccende
del mondo? Non sono le parole dei poeti
della luce del Sole i prolungamenti?
Non credi sia vano il tuo agire?
(Risposta di Ermete al poeta, tratta da I Fiori di Ermete - I Lupi e i Corvi, I Lupi)
Ma il viaggio del poeta puro non è finito, ed anche se egli s’agita nella sua purezza umana, è piccolo di fronte a Dio, è un suo servo; come Dio, immenso, è servo del poeta; ancora di più perchè questo non rinuncia ai suoi vizi e ad amare l’infinito limite dell’aldilà, ricevendone i segni, sottoforma di versi macchiati dall’umano spirito, e per questo sempre vergini. Poichè ci sono passati e sogni che non si lasciano cambiare.
Allora il poeta prega per esorcizzare la sua dannazione, per esorcizzare le sfaccettature di un dio che ci è stato tramandato da mani spesso impure e per sollevare ulteriori domande che hanno a che fare con gli atavici rapporti tra Eros e Thanatos, e che più di ogni altra cosa egli teme, lo innervosiscono, invoca per la malvagità, seppur cosciente dell’amore di un dio:
T’invoco Angelo Sterminatore
(Tu che hai visto perfino Fjalarr e Gallarr assassinare Kvasir):
Rendi buona la gente egiziana strappa
Il nylon dal buio, succhia
Il midollo dallo stretto ventre delle signore;
Rendi polvere gli omini verdastri e la destra
Hitleriana del duemilasedici
Nella mente sulle sedie vuote
Di un re dei tanti del nostro quartiere,
Con prole e tanto amore
Da consacrare
Al suo velocipide di serpenti.
Subito col nostro profilo
Si muove il demoniaco male, antropologico,
Delle spose figlio rozzo
E dei padri, dei luoghi, del tempo;
E dell’odio gridante ritmato dal fuoco d’Oriente.
T’invoco Grande Madre, Madre della Terra,
Maha, Gayatri, Aruru, Tara, Yum Chenmo,
Difendi i figli tuoi
Come in quel tempo con Abramo:
Dopo un belato
Ci dipingeremo con la morte.
(La preghiera dell’Angelo, tratta da I Fiori di Ermete - I Lupi e i Corvi, I Corvi)
Domande che vede risolversi nelle sue visioni oniriche con un’indecifrabile luce irradiante negli squarci della vita:
Luce diffusa: le nuvole vergini in cammino –
Nevica un raggio di sole sui contorni nitidi
Della schiuma – e ricordo cos’è il respiro
Che rinasce dal passato d’erba del merlo
Che canta passando sotto le squame vissute.
Ancora profumo di luce diffusa d’amori
E fischi freschi di passeri accompagnati dai fiati
Delle onde; ancora luce diffusa dell’orchestra,
Squarci sereni dell’Uno e del Tutto; (ancora) luce
Fanciullesca diffusa, amorosa.
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E simile a un lampo di ovatta
il tempo si è steso sul divano,
e le cose terrene nella mia sala,
sono divenute come parole e illustrazioni
fra le pagine fruscianti di un libro;
poi il silenzio.
E la visione di loro dall’altra parte
con le braccia tutte sulla balaustra
a guardare dal balcone allungato
dell’Oltretomba.
(Gusto e Il balcone, tratte da I Fiori di Ermete - I Lupi e i Corvi, I Lupi)
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