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Buona serata

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 10/06/2023 12:20:14

BUONA SERATA

Decise che dopo cena sarebbe andata a fare quattro passi.
Il marito aveva l’appuntamento con la partita al bar. A lui piaceva fare il tifo assieme agli amici, sentire le loro battute, il rumore e il calore intorno. Da quando era andato in pensione, passava le giornate fuori. O a leggere il giornale seduto sulla panchina della piazza, o in bicicletta lungo le strade che costeggiavano i canali, o al bar a giocare a carte. Le mura domestiche lo asfissiavano.
In casa le conversazioni erano ridotte a scambi di frasi stringate. A volte, soprattutto alla sera, lei mangiava prima e gli lasciava sul tavolo il vassoio con le solite cose: fagiolini stretti e una mozzarella piccola.
Nel pomeriggio il figlio era ripartito per Godo dove lavorava in un negozio di Tattoo. Il padre non l’aveva mai convinto ad associarsi al suo studio di geometra.
La colpa era stata di entrambi. Il marito accusava la moglie di aver curato ossessivamente l’estetica della casa, ignorando tutto il resto. La moglie rinfacciava al marito di aver trascorso troppo tempo in solitaria senza coinvolgere il figlio, se non per lanciargli qualche frase di rito e rimproveri taglienti. Fatto sta che Fabio aveva preso la sua strada e loro non avevano potuto che accettare.
Nel mese di giugno, il buio calava tardi ed era un piacere camminare con il fresco. Il percorso avrebbe avuto per meta il monumento dedicato all’eroe locale.
Lei, come vi arrivò, prese posto su un gradone che delimitava l’area del basamento. Respirò forte l’aria della sera e si guardò intorno.
Il teatro non era molto distante e, di colpo, le venne in mente di mandare un messaggio a Lorenzo. Una cosa semplice, buttata lì per caso, senza impegno: -Sono qua, sotto il monumento. Facciamo due chiacchiere sotto le stelle?.
Poi, realizzò che sarebbe stato fuori luogo. Era da un po’ che non si vedevano e chissà cosa lui avrebbe pensato.
La vita era ben strana. Uno partiva per intraprendere una strada e si trovava a percorrerne un’altra, si accorgeva di avere altri interessi.
Il figlio si era iscritto all’istituto per geometri ed era diventato un tatuatore, lei svolgeva il mestiere di infermiera ma aveva scoperto, proprio grazie a Lorenzo, di amare la recitazione. Il marito, chiuso nell’ufficio, aveva fatto progetti per impianti di riscaldamento e per il passaggio all’urbano di case rurali, ma diceva che se fosse nato un'altra volta avrebbe scelto un lavoro all’aria aperta. Lorenzo sembrava aver trovato passione per il teatro, ma poi aveva preferito la tecnologia: riparare computer e studiare il linguaggio informatico.
Avrebbe voluto dirgli: - Dai, riprendi a scrivere le tue sceneggiature. Ti ricordi di quella rivisitazione di Gulliver? O di Moby Dik?.
Si erano già confrontati sull’argomento. Lui le aveva confidato che era stressante ideare soggetti, contattare questa e quella Amministrazione, trovare i locali adatti per le prove e per l’esibizione, inserirsi nelle liste dei programmi stagionali. E poi non sapeva se quella rappresentasse la sua vocazione. Gli piaceva cambiare, non rimanere fisso a battere lo stesso chiodo.
Giulia non riusciva a capacitarsi. La sua memoria era piena di momenti di subitaneo afflato e di condiviso divertimento. Possibile che Lorenzo non ricordasse più di quando avevano fatto la parodia del Principe Carlo e di Camilla in dialetto? Le risate del pubblico che allungavano la recita anche di mezz'ora?
“No, non posso fossilizzarmi sul vernacolare. Il dialetto è destinato a sparire. I giovani non lo sanno neanche parlare”.
A lei sarebbe piaciuto proseguire con le sue esibizioni dentro la compagnia. Le venivano bene le inflessioni, e in modo assai naturale.
Poi, con Lorenzo c’era un’intesa. Non era accaduto nulla ma qualcosa di dolce era rimasto in bocca e non accennava ad essere deglutito definitivamente.
Lorenzo era veloce di pensiero, empatico. Sembrava anche sicuro di sé, ma chissà se lo era veramente. All’inizio aveva dato l’idea di volersi aprire con Giulia, confidandole cose personali, poi si era via via chiuso in sé stesso e non scuciva mezza parola che attenesse alla sfera privata.
Giulia avrebbe voluto saperne di più, ma quello slam della porta meritava solo discrezione.
In Lorenzo aveva visto realizzate le sue aspirazioni.
Innanzi tutto, l’attraeva la sua passione per le letture. Il soffermarsi su questo e su quel testo che avevano fatto la storia letteraria. Lui le aveva spiegato la tecnica del riuso, il lavoro d’intarsio di cui si serviva per concepire le sue pièce.
Erano idee valide che avrebbero meritato di essere sviluppate ulteriormente, ma, improvvisamente, lui aveva troncato. La Compagnia era stata sciolta. Tutti a casa. Tutto finito.
Giulia non sapeva se le dispiacesse più per Lorenzo, o più per sé stessa.
Le sembrava che lui potesse trovare una via privilegiata di affermazione, facendo il regista di soggetti teatrali, ma non poteva sottrarsi a un pensiero egoista: desiderava non solo condividere il suo successo, ma esserne l'artefice, attrice nella realizzazione e collaboratrice nella messa in opera. Rinunciare a tutta la fase preparatoria, che l’attività comportava, la privava di un piacere e di una ricchezza che, forse, non avrebbero più trovato compensazioni.
Giulia continuava a stringere lo smartphone tra le mani, incerta se digitare la frase che le frullava in testa o accantonarla.
Optò per accantonarla. Temeva di provare delusioni e l’età non l’aiutava.
Ripose il cellulare nella borsa. Si alzò in piedi. Guardò verso la statua dell’eroe che sovrastava. Iniziò a muovere i passi diretta verso casa.
Il fiammifero si era spento. Le immagini rievocate erano state inghiottite dalle ombre della sera che si allungavano inesorabili. Adesso tutte le luci erano accese, brillavano anche quelle dei fanali delle biciclette che saettavano attraversando la piazza.
Giulia camminò a passo veloce. L’appuntamento con l’incanto si era dissolto. La realtà era lì, chiara e nitida di fronte a lei: il giorno seguente ricominciava una nuova settimana, la vita nella sua prosa.
Giunse davanti al portone di casa. S’imbatté nella vicina che usciva per portare a spasso il cane. Indossava un impermeabile verde da pescatore: la palpebra incollata su un occhio faceva sempre rabbrividire Giulia.
-Buona sera, Adriana!
- Vuol piovere, tanto per cambiare – rispose la vicina- spero di non inzupparmi!
- Un giugno piovoso. Speriamo torni il bello. Buona passeggiata!
-Buona serata!
Il cane tirava impaziente il guinzaglio e la vicina spiccò la corsa per seguire l’animale voltando brusca le spalle.
Giulia infilò la chiave nella toppa. Lungo le scale incrociò il figlio della coppia che occupava l’ultimo piano. Andava agli allenamenti.
-Ciao, Matteo!
-Buona serata! -rispose il ragazzo, correndo verso l’uscita. Sì sentì il fragore sgarbato del serramento d'alluminio che si richiudeva alle sue spalle.
Lei aprì la porta dell’appartamento. Guardò il tavolo della cucina: il vassoio era al solito posto con adagiati i fagiolini stretti stretti e la mozzarella piccola.
Giulia lanciò un'occhiata all'insieme immobile dell'interno e sospirò. Poi, si sedette sul divano e accese il televisore.

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