Pubblicato il 03/12/2022 07:41:35
LO SCOPO
_Fiiiiiiii! Vieni, Bracco… qua, qua! Francesco Maria agitò la mano in alto e la riabbassò con forza, ripetendo il gesto per più di due volte. Il cane sembrava impazzito. Correva velocissimo lungo i solchi dell’aratura. Forse aveva adocchiato una donnola. Francesco Maria mise il fucile a tracolla. Quell’agitato di cane faceva sempre di testa sua. Doveva raccogliere il fagiano e portarglielo, ma di sicuro aveva visto altro. Lui continuava a calpestare il terreno secco ricoperto di brina. Sotto il carrarmato degli stivali di gomma le foglie di pannocchie crepitavano. C’erano un silenzio e un’umidità che facevano desolazione. In più, la luce del giorno, nonostante non fossero ancora le quattro del pomeriggio, stava venendo meno trasformando il tutto in una cappa opaca. -Fiiiiii! Qua Bracco… qua! -Non ti obbedisce- gli disse Eugenia Felicia- non vedi che non ti obbedisce. Francesco lanciò uno sguardo pieno di stizza alla compagna infagottata in una vecchia giacca a vento. Quella era buona solo a demolire. -Non mi obbedisce, non mi obbedisce…se ha visto una faina o una donnola in movimento, punta su di loro. -Ma no! È che tu non lo sai richiamare! Lui si fermò a gambe larghe davanti a un cumulo di zolle e la osservò con supponenza. -Avanti, richiamalo tu! Eugenia Felicia lanciò una voce nel mezzo della radura, che sapeva di orgoglio e determinazione, e il bracco fece dietro front. Dopo poco, era davanti a loro con il corpo piumato del volatile tra i denti. Francesco Maria ne rimase contrariato. Era incedibile come il fare un po’ grossolano della compagna facesse presa sulla feroce aggressività del bracco. Il cadavere del fagiano venne deposto a terra. Lui lo raccolse e lo mise nel carniere. -E con questo fanno in tutto 55 – disse soddisfatto. Eugenia Felicia lo guardò alzando il mento. Le guance erano arrossate. Le ciocche di capelli mezze nere e mezze bionde si erano scomposte all’aria pungente. Invece, la chioma argento di Francesco Maria, nella luce autunnale, sembrava inscurita. -Già, se non fosse per me, sarebbero tutti disseminati tra i campi, oppure malamente insanguinati nel frigorifero. -E va bene, - disse lui- te lo concedo: sei brava a spennare la selvaggina. A scuoiarla. Del resto, là, nelle tue pianure, lo sanno fare. -E a cucinarla! - sottolineò lei. -Sì, certo, a cucinarla, a cucinarla. Peccato che io non possa mangiare più di tanto. I due sembravano camminare senza meta. Il cane era ritornato sui suoi passi e aveva puntato il muso contro un animale in movimento. Fu lestissimo a farlo fuori guaendo. Eugenia Felicia e il compagno avanzarono verso l’argine. Stava arrivando il buio, ma un paio di beccaccini potevano ancora essere impallinati. Quando fecero fuoco all’unisono, sentirono vicino l’oh! di un contadino. Comparve improvvisa la sua sagoma tra le canne dell’argine. -Eh, no! Eh no! - disse l’uomo-facendo di no col dito. -Non è bandita- disse Francesco Maria- e poi troppi uccelli le guastano il raccolto. -Non voglio sapere- continuò quello seccato- qua non dovete venire. La casa è vicina e l’anno scorso è successo che un proiettile è andato a conficcarsi nella porta della stalla. -Con noi non accadrà. Abbiamo buone mire- -Non ne voglio sapere- continuò quello minaccioso- altrimenti chiamo i carabinieri. -Stai calmo- fece Eugenia Felicia - e lascia stare i carabinieri. -Non rispondere- ribatté l’uomo- e non darti arie perché hai un fucile. Dovete semplicemente andarvene. Mia moglie ha paura dei cacciatori. Francesco Maria ammutolì. Immaginò la vecchia impaurita e non ebbe il coraggio di contraddire. -Avanti, andiamo Giada- disse, chiamando la compagna col nome consueto e opponendole davanti al viso il palmo della mano. Lei abbassò la testa, gli si affiancò, voltarono le spalle e si misero a camminare rapidi verso casa. Il bracco li precedeva sprigionando la sua forza. Eugenia Felicia aveva la testa nelle piane carpatiche: pensava al coraggio della gente che l’aveva cresciuta. Francesco Maria soppesava gli effetti della camminata. Genetica e vita sedentaria avevano rivelato i loro danni e, ora, nel volgere delle stagioni, voleva riscoprire una pratica antica insita nelle velleità feudali di un avo materno. In verità, l'attività venatoria gli serviva soprattutto per tenere bassi i valori glicemici.
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