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Indice dei luoghi

Poesia

Enzo Rega (Biografia)
Edizioni Laceno


Recensione proposta da LaRecherche.it

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Pubblicato il 02/03/2012 12:00:00

[ Recensione di Annibale Rainone ]

 


Indice dei luoghi. Poesie da viaggio [e d’amore] 

C’è una poesia, la prima, nella bella antologica di Enzo Rega, che val la pena di citare per intero: «L’ombra di ieri sera, / a quel davanzale di finestra / (ricordi, c’eravamo arrivati / per guardare le luci della costa?), / accendeva i tuoi occhi. / Meglio, una luce interna li spingeva avanti, / da soli. / O non eravano piuttosto sospesi, / immobili, sul vuoto? / Neanche le sopracciglia o le ciglia. / Eppure, nel calco del buio, si sapeva il resto. / Adesso è il giorno. / Alla luce: le guance dolci, il naso perfetto, / il broncio amorevole delle labbra. / Ma gli occhi?».

   Strana la sorte dei luoghi: diventano riconoscibili solo in virtù dell’uso che se ne fa. Qui, dell’uso che fanno, in prima persona, gli occhi (dramatis personae al pari di ciglia, sopracciglia, guance, naso e labbra), elementi materici vigilanti, scivolati di notte «da soli» ora che un campo di fasci opachi viene a sorprendere passi e strade, la lente capovolta da cui insieme il poeta (veggente) ricompone le figure e gli sguardi prima che sopraggiunga il mattino.

Che lo sguardo riconosca, in un doppio lavoro (duplicazione e fuga di memoria), la lucentezza di una visione come di vernice ad olio stesa per mani d’ombra; che la forma dell’oggetto desiderato accada allo scuro liberando punti (passaggi, varchi) d’argomentazione in un rapporto di contiguità “naturale” (“indice”, con Peirce, è la banderuola che mostra la direzione del vento); che una rete di immagini congiunga l’idea di uno spazio a quella individuale di luogo, di luogo come sede dell’opera che si va compiendo (appunto, in un indice dei luoghi), è cosa che in poesia tiene sin quando guadagnano fede le corrispondenze, se il ‘porre davanti gli occhi’, in evidenza, lega la prova dell’analogo al rintocco degli enunciati, col risultato di chiarire (a bella posta: oscurare), arricchire il pensiero o la poetica.

Sicché accade che un’ideale risma di Postkarten comprenda versioni compilate di elementi a venire (uno sguardo, il nastro, un’istantanea) in direzione di un ritorno alla geomanzia, al riconoscimento dei ‘segni dei luoghi’ per possibili insediamenti che concedano, nel viaggio come in amore, la possibilità di perdersi: Smarrimenti, in questo senso, più che un canzoniere, apre «una sorta di elettiva “collezione”», con le parole di Armando Saveriano, curatore per Laceno di Scrimia, collana con interessanti ricadute poetiche tra estetica e ricerca linguistica.

Nel segno del concatenamento linguistico sono dunque, in Smarrimenti, i punti di domanda sul destino delle ‘cose’ stesse della poesia: gli occhi, si diceva, la voce, la parola, l’oggetto o la sua reificazione, l’immagine quale che sia, se macchinica o di scarto col reale; e il mare, con la sua eterna duplice funzione di cronaca e di eco sentimentale nella distanza, con la sua drammatica del perdersi e del rincontrarsi quale condizione d’origine, se il tragitto non è uno spostamento ma la ripetizione di un gesto di fondazione, uno srotolare il tappeto delle proprie mappe mentali, d’affezione, simboliche e culturali, in corrispondenza ai luoghi del territorio vissuto, attraversato, in cammino raccontato, via via coll’accamparsi di storie attorno alla buca d’acqua nel deserto (le città, l’altrove) o dipanate da una sponda all’altra del Mediterraneo, in un dialogo tra golfi e cieli, cedendo il passo ad altro perché il cammino ricominci.

Prima che in Venetia, la sezione dove il disorientamento che assale i passaggi «tra il florian e la musica / e libri introvabili fra / donne introvabili» è fatto di sottoporteghi, notti e campielli à la Hugo von Hofmannsthal (la Venezia del Settecento di Andrea o i Ricongiunti), è in Ishtar delle Orobie che prendono abbrivo dalla bruma settentrionale i giochi equorei dei corpi amanti (per salti di definizione su casistiche d’amore, se ramingo, vagante, rondine, errante o delfino), ché nel testo eponimo, Indice dei luoghi, della raccolta di Enzo Rega ad essere articolato, giustapposto, è un uso differente non già oramai del contesto (l’abbraccio, l’arco di mare, la roccia scoscesa o vulcanica, la stanza e l’isola) quanto invece del tempo occorso a ‘disvelare’, per il Rega lettore di Heidegger, «la calda disperanza odierna / srotolandosi, come il mare / dal mare». In modo analogo, in Venetia, «questi sogniparolepianti / risveleranno», in ogni confusione, nel fiume umano del suo inganno, una guida al circostante fatta anzitutto di processi culturali, di ampliamenti e movimenti in direzione del rovesciamento di una latenza, oggi che gran parte del nostro tempo è speso a determinare aree di oblio intorno alle quali muoverci; ora che il disorientamento è in pasto a pratiche di ri-locazione e di perdita dell’ambiente in senso lobotomico (recisione tra cultura e cosmo) e l’impossibilità di imporre un ordine simbolico in seno ai nostri insediamenti fa bottino, al massimo, della popolazione domiciliata (per la quale, talvolta, l’unica vaghezza è avere il permesso di organizzare la disposizione dei mobili della propria casa).

La parte centrale, Spazio Tempo, Avvicinando il Vulcano, Polittico per Vita, discute una rete di temi (ancòra «trama», «rete», «labirinto» i termini in isotopia) all’interno di un nucleo affettivo in cui il materiale psichico, mitico, ctonio fa carta con un linguaggio che non lesina interventi sul linguaggio a raggiungere i fondamenti del reale: «in contrade di sfacelo meridiano», «la verminosa periferia / napoletana», «quelle geografie contorte / tentavano un senso allora / dall’ignaro amore tentate / un luogo perso», si legge ne La lunga traversata, con un occhio alla tradizione metrica, in ossimorico legame con la barbarie attuale, nella coppia di dodecasillabi in Isole negate, «non la verde tessitura dell’ombra antica / ma l’antica città con le pitture nuove», allusione ai cœmeteria di acrilica pressione spray su catacombe urbane, fossero pure isole o brandelli di celluloide, una volta fissate e montate le inquadrature in omaggio alla settima arte, di cui l’autore è attento esegeta, come denunciano in biografia collaborazioni ed incursioni sue saggistiche sul cinema.

 Oltre, indietro nel tempo, alla ricerca di istantanee che fermino l’immagine in movimento, è la wunderkammer sostanziata di geografia, con i vulcani elementi componenti la scena (Itinerario) disposti, riscaldati, dall’incedere nel testo della donna amata, Vita. Il nome amato, allora, muove alla salute, alla salvezza, all’erotica dei corpi e dei luoghi (Ortigia), in una realtà serotoninica, trasmutata nel mito dove ricompongono, pacificati, i semi del centro riconquistati al proprio cerchio, come bene ha scritto Pasquale Gerardo Santella nellaibale Rainonee / me e te invita / a camminare la vitao del giorno accenna / un cenno sotto il vento teso / che piega erbe sec sua nota critica, ora che il mare unisce, riunisce, eterni la donna e, assieme, la memoria: […] l’acqua ha memoria: / da allora ogni giorno / interrogo la goccia / che riflette il mio viso / e le chiedo (vorrei): del mondo / cos’è che sai?  (La memoria dell’acqua).

 Perché, difatti, Rega, nato a Genova, condivide col Mediterraneo almeno Napoli e Siracusa, sue città d’elezione, verrebbe da dire, se l’ultima parte de L’indice dei luoghi non confessasse una disposizione alla dromomania, al viaggio, alla dimensione transeunte di ogni genius loci intercettato qua e là per l’Europa: London Gallery e Capitali Orizzonti, in questo senso, riverberano su registri da Reisenbuch il sottile legame tra mondo e vita, tra Paddington Station e «la donna nera che fa l’autista», Camden Town e «le venditrici cinesi di cibo», 48 Doughty Street e «Charles Dickens», Highgate Cemetery e «Karl Marx», 20 Maresfield Gardens e «Sigmund Freud», Stratford upon Avon e «William Shakespeare», British Museum e l’«anonimo scriba» (con un intarsio meta-linguistico sul senso della scrittura), Oxford, Oxfordshire e «Virginia Woolf». Colpisce in Planetarium, Greenwich Park, il link ingenerato tra la linea legale del Tempo, sulla quale sono i piedi puntati all’ora zero e la fuga in avanti, imprevista, imprevedibile, di uno scoiattolo che «scavallando la linea / veloce come il tempo», ferma l’attimo, dichiarando nulla la frontiera tra stasi e movimento, lì, nel cuore del paradosso. A dire che non c’è genius loci che non sia il riflesso di un personale, precario o provvido, relazionarsi del circostante: qui, sul battello diretto a Little Venice, è Vita che «dorme sulla mia spalla /  (non la sveglierò, le descriverò / tutto dopo)», lei, «il mio genio personale».

Ugualmente articolata in dieci cerchi concentrici (d’acqua?) è Capitali Orizzonti, testi che inanellano immagini di città e di luoghi, Mosca, Volga-Rybinsk, Kiži, Lago Onega, San Pietroburgo, Via Lampedusa, Palermo, Madrid, Toledo, Lisbona, Genova. Con una poesia, Cabo Da Roca, Portogallo, che piace riferire per intero, prima di Appendice, in cui sono tre scritti illuminanti del poeta, a mo’ di conclusione necessariamente provvisoria, parziale (per la stessa ragione del viaggio, diceva qualcuno, che è il viaggiare): «a navi e vite imbarcate / per ciò che non si sa / limite e invito / l’orizzonte marino si curva / a occidente / e al compimento del giorno accenna / un cenno sotto il vento teso / che piega erbe secche e rase / l’alba è alle spalle / ma il sole è diamante / nell’azzurro spazzato / e nell’aria di mare / l’odore delle terre / me e te invita / a camminare la vita».



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