Pubblicato il 09/07/2019 15:17:36
Mi chiedo, in silenzio, quale squalo vi educò? A cacciare pesci piccoli, che piccoli, poi... Arroganti, come voi ma più deboli.
Quale lupo, vi crescette? A caccia, costante, sfrenata, nel grembo dei vostri simili, con essi, in essi, per essi, ché condannate con duri morsi, feroci, nel viso un costante ringhio.
Apertamente, gelido, mi chiedo quale bestia insaziabile rese sciacallo la vostra anima tanto e fate a pezzi l'altre, senza rispetto, amore, educati a sbranare, calpestare come cavalli al trotto, folle corsa al fine verso versi di tomba: qui giacette lo spirito Umano.
Quale genitore senza riguardo, servo v'insegnò a servire, in ginocchio e pronunciar bestemmie, accontentandosi d'elemosina, dello sporco sui piatti da lavare, a fingere di non essere sé, in continua lotta col perdere.
Quale coniglio con orecchie basse dai secoli dei secoli, v'abituò a scappare dal peso, dal soffrire per l'evento d'esser uomini?
Quale gorgone vi fece così duri? Quale chimera vi diede una faccia e tante facce? Chi vi fece così, gonfi d'odio, ottusi e, per di più, superbi?
Quale Pluto vi generò? A prendersela con chi ha meno, leccando chi ha di più.
Quale padre, quale madre non sprofonda nel vedervi così? Solo avi come voi, vigliacchi, servi, odiatori.
Ecco, dunque, la vostra stirpe: nei secoli v'annidò bestie e come bestia veniste, come serpe ricolma di tòsco, utili imbelli, utili al sistema.
Nel rosso pudico di novembre si incammina la sera su sentieri antichi, distanti dalla giovinezza di luglio, così simili, entrambi, a quei ragazzi un po' giovani, un po' vecchi e, malgrado posseggano solo vecchie parole stanche, riciclate, non vogliono accettare, né conoscere o capire se non sopraffazione, cuori di scaltrezza recalcitrante ché non sanno che menzogna, impotenti dinnanzi ai moti dell'animo, tuttavia, sfoggiando abiti, il sudore altrui li rese belli, mostrando smartphone, scarpe lucide, lucidi sguardi di cupidigia fuor di gioia o furore rubati al mondo dei grandi o simili e lontani ai modelli di tv, così come il tramonto imita l'alba nell'unica regola del rosso. In questo panorama, ultimo, un tir svanisce all'angolo tra l'ultima ditta e il nulla e penso alle gesta di coraggio lepresco dei miei avi come nello spegnersi del giorno, a Pioltello, si tengano, labili come raggi di sole, aleatori barlumi di speranza ferina, la normalità di una casa, del salario, ottenuti pensando a sé, senza rispetto né pietà, calpestando, mordendo, strappando via brani di vita al giorno per scoprire, poi, che quel dolore non finisce nel calore d'una notte; non peccatore, no, né uomo, assumo la mia colpa, con vergogna chino il capo ma, il pianto non serve né gli avanzi che, generoso, distribuisco e penso, ancora, al candore innocente, veritiero, del cuore delle madri le cui mani stanche, arse, unte, han creato sguardi lacerati e vibra odore di strage nel perdersi, unica mia dote, tra gli sguardi eterni d'un settembre in permuta continua: è pure mia la colpa! Costruite mondi a debito nel deficit orgoglioso del fallire strade comuni, uguali ai vostri uguali, persino peggio dei predecessori, nel terrore costante, rigoglioso e magnifico, del diverso, dell'abbandono, della povertà.
Nella sabbia d'un quartiere popolare, il cornicione cade giù, sventola un lenzuolo e una pecora cade dal nono piano; si sente odore d'aglio, spezie d'Oriente, canta il Muezzin.. È forse questo che non volete? Il rimpianto per le nonne nei campi, della chiesa la domenica, quanto si stava meglio... Già, fosse stata epoca facile, non bigotta e fascista, ognuno al suo paese grondando frasi di dialetto, morire di febbre a sei anni.
Ricordo quando la carne, spoglia ancora di peli, era carne senza amore ma carne d'affetto, di gloria, osservavo le vacche sognando, avrei fatto il pastore, avrei fatto l'amore con la vita benché educato a sogni solitari, volgari, da pastori. Eppure sgorgano sorrisi ebeti da quei giovani: respirano l'inverno senza conoscer neve, né sole o grano e rombano al suono di autoradio con soli quattro quarti e troppi decibel senza passione, né controllo, solo risultati da comprare, educati a non volere, colmi di stupidi desideri materiali.
Non è questo un mondo triste? La parodia dei giorni, il non rispetto della diffidenza, il sospetto, lo scappare dal senso vero della ricerca, del ricercare il proprio senso, del fuggire dal mondo vero negando, blasfemi e senza razza, se non di bestia, i richiami d'un mondo colmo d'amore, di tristezza, di meraviglia, di unicità non è questo l'orrore? Cosa resterà se ci rubano l'avvenire e pure i sogni? Quale notte, infine, vi rese così bui nell'animo, così... ciechi?
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