Era il cinema del Dopolavoro Ferroviario, un cinema dove si potevano vedere le “seconde visioni”, come in passato si chiamavano le sale che proiettavano film già proposti nelle “Prime Visioni”, nei cinema migliori, dove i prezzi erano più alti e meno accessibili. Un cinema di quartiere, di famiglia, che aveva la caratteristica di essere sia al chiuso sia all'aperto, quando d'estate cambiava il suo nome nome in un magniloquente “Arena Aurora” ed allietava le abitazioni intorno che potevano godersi però solo la sceneggiatura dei film essendo posizionate dietro lo schermo.
La sala era spartana, le sedie in legno molto ravvicinate e la galleria poi si raggiungeva con non poche difficoltà su per una scaletta da escurzionisti con i corridoi di perlinato e delle piastrelline degne più di un bagno pubblico che di un cinema.
Decine di film visti con mio fratello ad una manciata di passi da casa, cosa che consentiva fin da piccoli di raggiungere il cinema senza essere accompagnati!
La fila per prendere il biglietto era da assembramento, neanche a Siena al palio dell'Assunta la costipazione era tanta.
Ci si andava anche senza sapere cosa si proiettasse, tanto tutti i film erano buoni per il pubblico che, il sabato pomeriggio, era composto da ragazzi. Ci si informava anche dalla cassiera, sul momento, dei film che avrebbero proposto di li a poco, gli “Imminente” annunciati dalle locandine esposte nel piccolo atrio che divideva l'ingresso dal Bar.
E fu li che chiesi di un film che avrebbero dato la settimana dopo, “La mia Legge” con Alain Delon e Simone Signoret.
“E' un film giallo?” Le chiesi.
“No, è a colori!” Mi rispose.
Ah, il nostro Morando Morandini!
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