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I’ll remember Giorgio Albertazzi

Argomento: Teatro

Articolo di Giorgio Mancinelli (Biografia)

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Pubblicato il 29/05/2016 19:48:35

I’ll remember … Giorgio Albertazzi la voce dell'Imperatore Adriano.

 

Alla notizia della sua morte, riapro in suo ricordo un libro divenuto ormai un 'classico' della letteratura mondiale. Se c'è una lettura che mi sento di suggerire in assoluto e che riguarda l'attore molto da vicino, questo è “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, un romanzo sui generis del saggio storico-biografico che affronta temi oggi ancora molto attuali quanto scottanti. Diventato ‘cult’ presso alcune frange di intellettuali negli anni ’70,  ha conosciuto infinite ristampe negli anni successivi e più recentemente è entrato come testo letterario nei licei e nelle università anche come opera filosofica, le cui tematiche sviluppate ritroviamo in anche in altre opere della scrittrice belga, da “L’opera al nero”, “Alexis o il trattato della lotta vana”, “Fuochi” ed altri.

Un libro “Memorie..” dal quale sono state tratte opere teatrali, films, balletti, letture magistralis che rendono ancora più suggestiva la visione (in DVD) dello spettacolo andato in scena nel 1989 a Villa Adriana nei pressi di Tivoli, per la regia di Maurizio Scaparro e la strepitosa interpretazione, appunto,  di Giorgio Albertazzi, odiato/amato dai critici, e forse il più chiacchierato dai tabloid, seppure stimato in quanto grandissimo attore della scena teatrale del '900. Benché solo oggi che se n'è andato, assistiamo al suo revival nei programmi televisivi dei suoi spettacoli teatrali e films cui ha prestato la sua ‘arte’ di interprete, sia come attore teatrale che come voce narrante.

Ecco, di Albertazzi infine si ricorda soprattutto ‘la voce’, originale, unica, elogiativa e celebrativa della poesia italiana e non solo: famose sono le sue recitazioni di versi di Dante, Leopardi, Montale, Calvino, Pirandello, Dannunzio, Eliot, Dostoevskij, Cervantes, Shakespeare. Celebri le sue interpretazioni di uno sterminato repertorio teatrale in oltre venti sceneggiati e fiction , tra cui alcune pietre miliari della televisione italiana, come “Delitto e castigo”, regia di Franco Enriquez nel 1954, l'insuperato “L'idiota” del 1959 dal romanzo di Dostoevskij;  l'ormai leggendario dottor “Jekyll e mr. Hyde” che nel '69 tenne incollata l'Italia al piccolo schermo per una intera stagione, o il divertente Philo Vance della serie del '74, e le ultime e pur grandi interpretazioni di "Il Mercante di Venezia" del 1980 e “Lezioni Americane” in cui ci ha regalato il ‘meglio’ di una vita spesa al servizio della letteratura, del teatro e del cinema.

Per il cinema ha interpretato oltre 40 film, tra cui “L'anno scorso a Marienbad” di Alain Rasnais, premiato nel 1961 con il Leone d’Oro alla XXII Mostra Internazionale del Cinema di Venezia; scritto e diretto “Gradiva”, tratto da un saggio di Freud che vinse un premio al Festival del Cinema di Locarno (1974). Chi lo ha veduto recitare sa che bastava ch’egli apparisse sulla scena (teatrale, cinematografica, televisiva) per trasformare un qualsiasi evento in una performance dai mille risvolti, letterari, teatrali, comici, burleschi, drammatici e tragici secondo la tradizione del migliore teatro greco e romano: Sofocle, Lucrezio, Virgilio, e tantissimi altri cui ha prestato la sua inconfondibile ‘voce’.

 

“Il vero grande classico non si dimentica mai” diceva.

 

E mai sarà dimenticato il suo “Memorie di Adriano” della Yourcenar con la regia di Maurizio Scaparro: fin dal suo debutto alla Villa Adriana di Tivoli nel lontano 1989, che ha raggiunto quasi 1000 repliche in Italia e all’estero. "Uno spettacolo che ormai era perfetto, come se quel pezzo di teatro fosse diventata la sua vita, e lui Adriano: la finzione pareva verità, il romanzo una cosa personale" - scrive Maurizio Scaparro che lo diressein quel capolavoro assoluto. Nato a Fiesole, Giorgio Albertazzi aveva iniziato a fare l'attore imparando a recitare da mostri sacri come Renzo Ricci e Memo Benassi. Nel '49 era entrato già dalla porta principale: “Troilo e Cressida” di Shakespeare, con la regia di Luchino Visconti al Maggio Musicale Fiorentino. Da quel momento egli è sempre rimasto in prima linea e sulla cresta dell'onda.

Dal 1956 inizia a lavorare con Anna Proclemer. Tutto era cominciato perchè nel '55 l'impresario Lucio Ardenzi, che allora teneva in pugno tute le grandi compagnie private, cioè metà del teatro italiano, aveva organizzato una tournèe in Sud America. Albertazzi era già una celebrità e con Tino Buazzelli impreziosiva la compagnia in trasferta. Da lì però nacque anche una bella e tempestosa storia d'amore con Anna Proclemer, due leoni, che proseguì con un solido e lungo sodalizio artistico. Nella compagnia Proclemer-Albertazzi, chi ha più di cinquant'anni oggi, riconosce una delle punte più alte di quel teatro popolare che erano le compagnie, quel teatro cioè che ha contribuito a formare la cultura teatrale nazionale.

Da Shakespeare a Ibsen, da George Bernard Shaw a Vitaliano Brancati, da Pirandello a D'Annunzio: insieme Albertazzi e Proclemer hanno lavorato su centinaia di testi. Moltissimi i traguardi: nel 1964, in occasione del 400º anniversario della nascita di Shakespeare, debuttarono all'Old Vic di Londra con “Amleto”, diretto da Franco Zeffirelli; nel '69 alla Scala di Milano con “Edipo re” di Sofocle. Quando a metà degli anni Ottanta finisce l'amore con la Proclemer, Albertazzi prosegue anche professionalmente per conto proprio: nel 1994 fonda e dirige il Laboratorio Arti Sceniche Città di Volterra, dal 2002 per cinque anni è direttore del Teatro di Roma (e lo ricorda con affetto il direttore di oggi Antonio Calbi), intanto porta in giro per l'Italia le tante letture di Dante: (nel 2009, per Rai 2, ha registrato la Divina Commedia fra le rovine del centro storico dell'Aquila dopo il terremoto del 6 aprile).

Con Dario Fo nel 1994 battezza un ciclo di lezioni sulla storia del teatro, va al Teatro Greco di Siracusa per un “Edipo a Colono” di Sofocle diretto da Krzysztof Zanussi. Negli ultimi anni è stato spesse volte al Teatro Ghione di Roma con “Il mercante di Venezia”, e qualche anno fa fu Prospero in scarpe da ginnastica al Teatro Globe di Roma invitato da Gigi Proietti in “La tempesta” di Shakespeare con la regia di Daniele Salvo. Il 12 dicembre 2007 si era sposato a Roma con Pia de' Tolomei, discendente della nobildonna di dantesca memoria benché avesse 36 anni di differenza.

 

"Sono Re Lear e voglio morire sul palcoscenico."

 

Fa dire Shakespeare al suo protagonista, ineguagliato nella storia del teatro mondiale, e forse Giorgio Albertazzi ce l'avrebbe anche fatta, perchè tra l'altro aveva ancora una memoria di ferro. Anzi, da animo avventuroso che era, aveva alcuni nuovi progetti da portare in cartellone, se la morte sopraggiunta all’età di 92 anni non l’avesse strappato alla scena fuori dal teatro, in un momento di pausa tra uno spettacolo e l’altro. Della vecchiaia ultimamente diceva :

«..è più corporea della giovinezza, ti costringe a fare i conti con il tuo corpo, che reclama le sue esigenze. Quando sei giovane non ti accorgi di averlo, ti obbedisce. Ma poi arriva il momento che ti dice 'no, questo non lo puoi fare perché sei vecchio'."

 

Ma a noi piace ricordarlo con questa sua frase tratta da “Lezioni Americane”, lo spettacolo che ha continuato a portare con successo unanime di critica e pubblico, in Italia e all’estero fino a questi ultimi giorni:

 

"Dovunque stiamo andando cerchiamo di andarci con leggerezza", ripeteva sovente.

 

Ripresa di “Memorie…”

 

Saranno state circa le 18,30 di un pomeriggio caldissimo di Luglio del 1989, o forse era già Agosto, non lo ricordo con esattezza, e berché si dica che Agosto sia il mese più caldo in assoluto, tuttavia quell’anno non era così. Maurizio Scaparro all’epoca direttore del Teatro di Roma aveva programmato un’anteprima ad invito per gli ‘addetti ai lavori’ (giornalisti, gente di teatro, amici) nella suggestiva e naturale cornice di Villa Adriana a Tivoli di cui Giorgio Albertazzi sarebbe stato unico protagonista in scena nei panni dell’Imperatore Adriano cui avrebbe prestato la voce. Così, pensando di assistere a una ‘lettura’ del testo riadattato del già famoso romanzo-biografia della Yourcenar vi andai con un gruppo RAI appositamente invitato per possibili future riprese nei luoghi che videro la presenza fisica dell’Imperatore.

Ricordo che all’apertura fissata dei cancelli il sole s’avviava appena verso il tramonto, accendendo di un colore rosato tutto intorno che in breve rivestì d’ambra i resti magnifici delle mura della Villa cui andavamo incontro. Lo scenario che s’aprì varcata l’entrata fu magnifico: numerose piscine (pescherie) occupavano l’ampio spiazzo contornato di verzura, in mezzo ad ulivi contorti che lasciavao intuire una secolare presenza, una inezia in confronto ai resti monumentali di archi abbattuti e pilastri diroccati dall’incuria del tempo. Un niente davanti alle absidi delle terme, agli spazi in ombra dei forti muri di contenimento che tenevano testa agli declivi del terreno che, aggirati, lasciavano intravedere ora una ex palestra di gladiatori, ora un teatro sull’acqua, un piccolo gioiello che può essere contenuto come un prezioso monile su una mano.

Fin dal nostro arrivo alcuni coreuti vestiti nella foggia antica c’erano venuti incontro al suono di cimbali e sistri danzando e indicarci il sentiero itinerante che avremmo dovuto percorrere attraverso la Villa, prima di giungere al luogo eletto alla drammatizzazione teatrale. In una prima sosta, davanti alle rovine di un ampia costruzione che fungeva da quinta, apparvero delle maschere al seguito di una vestale (Maria Carta) dalla voce bella e al tempo stesso arcana, quasi giungesse di lontano, recuperata attraverso i secoli che la separavano dalla nostra visita. Un’azione scenica tra il comico e il faceto si svolse davanti ai nostri occhi coadiuvata dalla musica di flauti di legno, dalla lira a corde, cimbali e voci disgiunte, benché allegre e divertenti, nel cicaleccio estivo delle numerose specie degli uccelli …

La visità proseguì fino ad arrivare nei pressi delle terme ch’era ormai giunta l’ora del tramonto, allorché alcuni fuochi accesi più in alto, nei recessi delle costruzioni in rovina, illuminarono il cammino verso ilo grande ‘canopo’ della Villa, affossato nella parte degradante della collina da cui l’acqua discendeva fluttuante fino all’imboccatura della piscina di forma rettangolare ombreggiata durante il giorno da altissimi alberi che ne conservavano la frescura, luogo eletto all’azione drammaturgica che stava lì per incominciare. Sul fondo alcune torce accese illuminavano l’abside che un tempo avevano contenuto i sacri alari del dio Apollo; sul lato opposto, una sequenza di colonne ioniche faceva da elegante cornice a piccoli archi incornicianti statue in marmo di pregevole fattura.

Sui lati allungati, ma solo per un breve tratto, le colonne assumevano le belle forme umane di ninfe sormontate da una travatura di leggero travertino, che illuminate da piccole lucerne si riflettevano nell’acqua. Aromi selvatici e profumi d’oriente si mescolavano nell’aria tiepida della sera. Nel mezzo della piscina una chiatta galleggiante illuminata da lucerne ad olio faceva da palcoscenico a quello che l’ingegno del regista aveva preparato come sorpresa. Il buio del cielo nella notte d’estate si sa, non è un vero buio e per quanto pur non lo si voglia, è premonitore di ombre in movimento capaci di destare ogni parvenza di lucida e ossessiva paura.

Il silenzio succeduto ad un ultimo stormo di uccelli divenne totale, quando dal proscenio, ricavato da alcuni massi al bordo della piscina, si levò la voce dimessa di Giorgio Albertazzi che nei panni di Adriano che s’avviava a ridestare le sue ‘memorie’ e con esse gli spiriti audaci della sua esitenza di Imperatore massimo:

“Il mio incontro con l’Adriano di Marguerite Yourcenar – scriverà in seguito Albertazzi – non è quello tra un attore e un cosiddetto carattere teatrale. È un incontro ‘molecolare’ , perciò Adriano cambia, come cambia il mio sistema cellulare. Spesso mi chiedo qual è la vera ragione del successo che ha ottenuto e ottiene Memorie di Adriano. Si tratta , alla fin fine, di brani di una vita scritta dalla Yourcenar rifacendosi certo a ‘pietre autentiche’ ma pur sempre pietre, spesso sconnesse, per così dire ‘isolate’ dal contesto storico, frammenti appunto, tsalvolta immaginari, della vita di uno dei più grandi, nel senso dell’umano e della prudenza, imperatori romani. Ma se fosse proprio qui la causa del successo e della suggestione? Come nel caso di Saffo, quelle rime smozzicate, alcune tronche altre disarticolate, sono fonte di tale provocazione lirica da costringersi a riempire le presunte cavità della nostra emozione e della nostra passione. Adriano che raccontasse in una sequenza di scene coerenti e drammaturgicamente concatenate, con tanto di inizio e di conclusione, ci lascerebbe forse indifferenti. Il nostro tempo di incertezze, sconnessioni e frammmenti.”

Adriano fece il suo ingresso avvolto in un’ampia tunica bianca che lo ricopriva fino ai piedi, l’unico segno regale una stola color porpora poggiata sulla spalla che presto abbandonò sulla scena. Fece pochi passi prima di abbandonarsi al monologo sublime, estrapolato per l’occasione dal testo della Yourcenar che inizia con: ‘Animula vagula blandula’ … «..qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche..»

 

«Sono andato stamattina dal mio medico. Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d’accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica, mi sono adagiato sul letto … Ho tossito, respirato, trattenuto il fiato … È difficile rimanere imperatore sotto gli occhi di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana. … Ermogene è dotto; è persino saggio; la sua probità è di gran lunga superiore a quella d’un qualunque medico di corte. Avrò in sorte d’essere il più curato dei malati. Ma nessuno può oltrepassare i limiti prescritti dalla natura; le gambe non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma; a volte mi sento soffocare e ho sessant’anni.»

 

«È strano. La mia vita ha contorni meno netti. Quando la prendo in esame, mi spavento di trovarla informe. Come spesso accade, la definisce con maggiore esattezza proprio quello che non sono stato: buon soldato, non grande uomo di guerra: amatore d’arte, non artista; capace di delitti, ma non carico di delitti. Questo sono stato.»

 

Di tutto ciò ch’egli è stato, della sua grandezza d’imperatore, Adriano tuttavia portava seco una riflessione amara, aver lasciato che Antinoo da lui amato, per un eccesso d’amore si togliesse la vita, privandolo di quel piacere sottile, di quella ‘insostenibile leggerezza dell’essere’, che il giovane greco nel fiore degli anni portava in sé, inebriandolo con fascino della sua bellezza, allorché:

 

«Quel bel levriero, ansioso di carezze e di ordini, si distese sulla mia vita.»

 

Allorché frugando fra le nere ombre delle colonne s’affacciarono le maschere del teatro tragico e la scena s’illuminò del fantasma di Antinoo danzante, così come doveva apparire nei ricordi di Adriano: la musica elaborata da quell’attento scopritore di antichi suoni e strumenti ch’era Gregorio Paniagua riempi la notte di ‘peana’ in onore del dio Apollo, e che, scivolando leggera sulla sua pelle, diede movimento a quel corpo etereo che mostrandosi nudo rivelò tutta la possanza di un giovane atleta. Il danzatore Eric Vu An si esibì in una danza sensuale e impudica (per quel tempo) che poi riscontreremo giocata sulla falsariga de ‘Laprès-midi d’un Faune’ di nijinskiana memoria. Vuoi per la leggerezza del passo, la virile sembianza statuaria del gesto la sua danza si rivelò di una bellezza sublime. Il pubblico, rapito, dalla leggerezza estatica della fine, non riuscì neppure a levare l’applauso allorché Antinoo chinatosi sulla vasca accarezzò l’acqua col palmo della mano, finché la sua immagine sparì fra le onde che l’avrebbero accolto.

 

«Ma i volti che noi cerchiamo disperatamente ci sfuggono: è sempre un solo istante … Quel tenero corpo s’è modificato di continuo, a guisa d’una pianta, e alcune di queste alterazioni sono imputabili all’opera del tempo» - narrerà Adriano colto da melancolia. 'Il ‘fanciullo’, come lo chiama Adriano, è un giovinetto tanto bello quanto timido, ma furono soprattutto i suoi ribelli capelli ricci ad incantare e legar a sé il cuore dell'imperatore. La relazione tra i due dura per cinque anni: mentre si trova in visita in Egitto però, durante un viaggio in barca lungo il corso del fiume Nilo, si dispera per la morte improvvisa ed alquanto misteriosa del giovane amante ormai diciannovenne. Egli conclude ritenendo che Antinoo si sia sacrificato al fine d'alterar il risultato di certi presagi infausti a cui avevano entrambi assistito precedentemente. Per esaudirne il desiderio espresso in vita, Adriano fa imbalsamare il corpo del ragazzo dai sacerdoti egizi per depositarne infine i resti in una tomba sotterranea del tutto simile a quelle costruite per gli antichi faraoni, facendone riempir le pareti di geroglifici. In suo onore dà l'ordine anche di costruire una città col nome dell'amato, Antinopoli.”(Wikipedia)

 

«Offro qui ai moralisti un'occasione facile per trionfare di me. I miei censori si apprestano già a scoprire, all'origine della mia sventura, le conseguenze d'un traviamento, il risultato d'un eccesso. Mi è difficile contraddirli in quanto non riesco a scorgere in che cosa mi sia traviato, in che cosa io abbia ecceduto. Mi sforzo di ridurre il mio delitto, se tale dobbiamo chiamarlo, a proporzioni esatte; mi dico che il suicidio non è poi così raro, che è un fatto abbastanza comune morire a vent'anni. La morte di Antinoo è un problema, oltreché una sciagura, per me solo. Può darsi che questa sciagura sia stata inseparabile da un eccesso di gioia, da un sovrappiù d'esperienza, di cui non avrei consentito a privarmi, né a privare il mio compagno di pericolo. I miei rimorsi, a poco a poco, sono divenuti anch'essi un aspetto amaro di possesso, un modo per assicurarmi d'esser stato sino alla fine lo sventurato padrone del suo destino. Ma non ignoro che bisogna fare i conti con le iniziative personali di quell'estraneo affascinante che resta, malgrado tutto, ogni essere amato. Se m'assumo tutta la colpa, riduco quella giovane figura alle proporzioni d'una statuetta di cera che io avrei modellata, e poi infranta con le mie stesse mani. Non ho il diritto di avvilire quel raro capolavoro che fu la sua fine; devo lasciare a quel fanciullo il merito della propria morte.» (Yourcenar)

 

«E tuttavia, l’esile spalla si agita convulsamente sotto le pieghe della tunica; sento sotto le dita queste lacrime deliziose. Fino all’ultimo istante, Adriano sarà stato amato d’amore umano. Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più … Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti…»

 

A poco a poco la luce cambiò …

 

«Nelle ore di insonnia, percorrevo i corridoi della Villa, erravo di sala in sala (..) mi fermavo davanti ai simulacri di Antinoo. Ogni stanza aveva il suo, ogni portico perfino. Facevo schermo con la mano alla fiamma della mia lampada; sfioravo con un dito quel petto di pietra.» (Yourcenar) Adriano è più di un uomo, è il ‘ritratto’ di ciò che noi oggi siamo, nelle sue parole ritroviamo le radici della nostra storia. In un mondo dove i fondamentalismi e l’ignoranza seminano morte e distruzione, le parole di Adriano assumono un significato nuovo indicandoci, forse, uno spiraglio di speranza: «..non tutti i nostri libri periranno … altre cupole sorgeranno dalle nostre cupole … e se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti nostri metodi; e finiranno per rassomigliarci.»

 

“Ascoltare Giorgio Albertazzi recitare nella cornice magica di Villa Adriana, sfiorati dai fantasmi di quell’epoca lontana, ci ha spinto a portare questo spettacolo dal 1989 ad oggi in tante città d’Italia e d’Europa. Significativamente a Roma, che con la Spagna e la Grecia, sono state le Patrie di Adriano e sono ancora oggi culla della civiltà occidentale e mediterranea.” – scriverà Maurizio Scaparro ideatore e regista dello spettacolo, e noi, uniti nella scomparsa del grande attore Giorgio Albertazzi, oggi gliene siamo grati.

 

Materiali di consultazione:

 

“Memorie di Adriano. La voce dell’Imperatore” dvd + libro.

 

Il dvd è stato registrato nella suggestiva e naturale sede di Villa Adriana a Tivoli, con Giorgio Albertazzi nella parte dell’imperatore Adriano.

Un film-documentario per la regia di Matteo Raffaelli che scolpisce nella memoria del suo pubblico l’immagine straordinaria del grande attore, attraverso il racconto della vita, i desideri e le paure dell’Imperatore, con il quale ha stretto un rapporto ormai 'molecolare'.

In più, grandi contenuti extra:

• intervista a Giorgio Albertazzi;

• intervista a Maurizio Scaparro;

• intervista a Benedetta Adembri;

• documentario su Tivoli e Villa Adriana;

• finale integrale dello spettacolo.

 

Il libro: il testo completo dell'azione teatrale è tratto all’omonimo romanzo di Marguerite Yourcenar – 25 milioni di copie vendute nel mondo. Adattamento teatrale di Jean Launay per uno spettacolo che in più di 18 anni di repliche si conserva come un evento imperdibile (acclamato da più di 500.000 spettatori).

Un volume prezioso con:

• le introduzioni di Dario Fo e di Maurizio Scaparro;

• la riproduzione delle pagine originali del copione che accompagna Giorgio Albertazzi sin dal suo debutto;

• foto storiche della rappresentazione teatrale.

 

Suggerimenti:

“Memorie di Adriano” - Marguerite Yourcenar – Einaudi Editore 1974

(da leggere passeggiando nei luoghi di Villa Adriana a Tivoli)

 

“Musique de la Grece Antique” – Grgorio Paniagua – Harmonia Mundi 1979 (da ascoltare come accompagnamento)


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