La mia musica è stridente,
come i legni abbuffati di pioggia
delle sedie dei giardini, in inverno
e tuttavia
posso rendertela in germogli
dalle mie mani di madonna rossa,
gravida d’un sogno bianco.
Ma sento che ti spaventa
questa donna scheletro
che reca, negli occhi,
la vertigine d’una atroce apocalisse.
Ma non sono le tue lacrime, le mie?
Non è tua la terra che trema, consunta,
sotto il mio passo consunto?
Pure il corvo del dolore s’allontana
in questa nuda distanza che trasuda
l’anemia d’antichi incantesimi.
Resto.
Sui miei fossati di neve,
salvando il petalo sanguigno
tendendo
al frangersi dei flutti neri
e alle bonacce dei sensi,
mentre aspetto la vela
della mia antica geometria.
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