Pubblicato il 04/04/2008
Partendo dalla prematura scomparsa di una persona cara, Milo De Angelis affronta il viaggio del dolore che prefigura, già nella quotidianità, il distacco verso gli affetti più cari, di cui la morte è causa inalienabile. Nelle bellissime poesie vi è un intrecciarsi di sensazioni e paesaggi che rimandano anch’essi, come amplificatori delle sensazioni, alla perdita e allo sgretolarsi della vita. D’altra parte i paesaggi decadenti e grigi che egli descrive, prossimi all’asfalto delle strade e alle tangenziali, influiscono sulle sensazioni e alimentano abilmente la tristezza del tempo che inesorabile porta con sé, in pegno, la promessa della morte. Ma il poeta non è certo sprovveduto e non lascia che la poesia degradi verso il basso in una visione pessimistica del presente, vi è una sorta di attesa della realtà di tornare nel suo vero nome, viene lasciato uno spiraglio di speranza, il dolore e la morte non sono la parola definitiva: “[…] Tutto chiedeva / di essere atteso, di tornare nel suo vero nome”. Vi è in tutta la narrazione poetica una presenza sconosciuta che non lascia soli, e questa certezza viene introdotta già nella seconda poesia che apre la raccolta: “[…] Un istante / in equilibrio tra due nomi avanzò verso di noi, / si fece luminoso, si posò respirando sul petto, / sulla grande presenza sconosciuta […]”. Milo De Angelis è abile poeta, impressiona la sua maturità stilistica e la pesantezza con cui avanza la sua parola, sulla quale appoggia decisamente tutto il significato di cui è foriera, parola che come radice affonda nel terreno della lettura configurando nel lettore riferimenti esistenziali irremovibili. D’altra parte le sue parole si compongono agili tra i versi in una dinamica e agilità di chi sa quello che dice, cosa non ovvia di questi tempi.
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