Pubblicato il 11/09/2010 21:38:55
Sì, c’era, dopo i cespugli fitti,
Ma prima il canto e un fruscio in movimento
E il vento ora assente ora veloce e finalmente
Come la visione di un altrove veniva il fiume
Correndo verso il mare lontano e dilagante
Nell’ansia e nel cadere verticale da una balza muschiosa.
Per ore contemplandolo tra ardori d’erba alta
Aggrovigliata e i gigli selvatici esplosi
Da tuberi infossati nella terra intenerita d’acqua
Fra radici e sassi levigati. Di fronte alla sua forza
In sovrabbondanza di grazia stavo muta,
Accoccolata come un dolce animale,
Con le mani sporche e la menta selvatica tra i denti,
Lei nel pensare assorta al fiume che trascinava il passato
E il luogo lontano poi che dopo cantava una canzone
Nella sua lingua natale di suoni misteriosi
Come quelli attraverso i rami e le foglie dei boschi.
Andiamo dove, andiamo dove? - cantavano, era già sera -
Gli uccelli notturni e il fiume diventava un drago con tanti
Occhi aperti e dardeggianti. Lei mi custodiva la mano
Come una colombella nella gabbia per paura che mi perdessi,
Che affondassero i piedi. Scoppiavano in ogni albero alto,
Solenne, inni rituali, cerimonie nascoste e le ombre
Scrivevano geroglifici sacri sull’aspro delle cortecce.
Le caviglie graffiate, le foglie infilate fra i capelli,
Le tasche come culle di corolle già esangui,
Foglie aromatiche e il giorno morto tra i ricordi.
Le nostre braccia allargavano il mistero e passo dopo passo
Sul sentiero conquistavamo ancora il ritorno alle cose:
Una brocca di argilla bianca con l’acqua della fonte,
Il pane caldo lievitato nel forno di pietra e tre pere mature
Posate sul tavolo di legno grezzo, prima del sonno.
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