Pubblicato il 18/10/2021 08:59:11
SOLITUDINE
E' salita sul metrò come un automa, premendo la borsa di ghiaccio sintetico contro la guancia. Più che il dolore, l’angoscia lo stato delle cose. Dover affrontare gli interventi parodontali, cui seguiranno quelli ortodontici, con l’unico fine di contenere una situazione molto compromessa, muoversi con i mezzi dal paese di provincia per raggiungere il capoluogo e l’Istituto consigliato, dopo aver gettato le energie del mattino a riprendere le scalmane delle classi, diventerà pesante considerando la frequenza. Gli appuntamenti allo Stomatologico, nonostante vengano fissati nelle prime ore pomeridiane, slittano inspiegabilmente di un considerevole numero di minuti e questo contribuisce ad acuire le ansie dell’attesa. Insopportabili, poi, risultano i commenti del personale: -Poverina, le sue arcate sono come gli infissi di una finestra scassata. -Questa signora ha tanti problemi. -C’è pochissimo osso. -Beh, dovesse perderli, possiamo sempre ricorrere alla protesi. Gabriella lascia trapelare ogni disagio che prova, sprofondando in un pessimismo infantile che, quantomeno, le riesce confortante. Nel pomeriggio si è svolto l’ultimo intervento destinato al quadrante superiore sinistro. Il tutto è stato compiuto secondo protocollo. Anestesia, incisione dei lembi, rimozione del tartaro, pulizia di fino, sutura e copertura dei punti con pasta lenitiva e cicatrizzante. Gabriella vi si è sottoposta senza fiatare, vivendo con autocommiserazione il suo regresso nell’infanzia. Finalmente è fuori, libera dall’oppressione dello Stomatologico: nella serata invernale, nelle brume della grande città del nord ha ritrovato un pizzico di brio spiccando una corsa verso l’imboccatura della metropolitana. E' salita sul mezzo, rintanandosi sul fondo a masticare malinconia e rabbia con la borsa del ghiaccio sintetico piazzata contro la guancia. L’ immagine della famiglia raccolta tra le quattro mura, dei bambini, cui destinare ad ogni ritorno un souvenir della grande città, è avvolta nella nebbia. Forse un po’ dopo, rispetto a quando ha iniziato a parlare, si accorge che una signora non più giovane, con un cappotto chiaro, le si è parata davanti in piedi, puntandole insistentemente, a sorpresa e chissà per quale ragione, gli occhi addosso. -Lo sa? Mi ha cercata, dopo trent’anni – le dice. Gabriella la guarda senza comprendere. -E’ venuto a cercarmi, cercava proprio me- insiste la donna. Gabriella esce dall’offuscamento, le sorride e s’impegna ad offrire uno sguardo comprensivo, perché l’altra non si senta fuori luogo: muove la testa per assecondare. -Mi ha cercata dopo trent’anni – ripete la donna- ha voluto rincontrarmi. Gabriella continua ad annuire, abbozzando anche a un –Sì- confermante. Va avanti così per un po’. Il metrò non è particolarmente affollato e la signora ripete con eccitazione e per l'ennesima volta a Gabriella : -Mi ha cercata dopo trent’anni. Cercava proprio me. Infine, quando Gabriella si alza per scendere alla sua fermata, la signora alza il dito nell’aria compressa e grigia del mezzo, e non si capisce se voglia lanciare un messaggio a se stessa o all’interlocutrice casuale oppure interpretare il pensiero di quest’ultima; dice: -Queste cose succedono, queste sono cose che succedono. Gabriella scende. Le porte si richiudono. Il mezzo riparte con la signora piena della sua incontenibile esaltazione. Gabriella s’immette nel flusso dei pendolari diretti ai treni, dimentica della guancia gonfia e del ghiaccio. Non sa se il suo pensiero sia ancora dentro il metro o lì, riportato a sé stessa.
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