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La marcia dantesca

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 27/09/2021 11:38:52

LA MARCIA “DANTESCA”

“O voi che siete due dentro ad un foco/ s’io meritai di voi mentre ch’io vissi …”.
Si sono alzati presto stamattina i tre fratelli, anche se è domenica, e in camera stanno ripassando le parti. Più tardi, il padre li chiamerà nello studio per ascoltarli: sperano di risparmiarsi l’aria altera e i rimproveri.
Sono mesi che il maestro elementare prepara i figli per il grande giorno. Adesso la data si approssima a velocità inesorabile. Ermete Guaccimanni, membro del Comitato, non vuole fare brutte figure.
A Vittorio non vanno in testa i versi iniziali: vorrebbe partire da “O voi due ”, ma il padre è uno di quegli uomini che mirano alla completezza ed è convinto che si debba incominciare con ” Godi, Fiorenza”.
Non è stato facile per dei dodicenni memorizzare l’intero canto. Pier Costante è più sicuro nel dar voce a Ulisse, mentre Vittorio, nei panni del divino Poeta, continua a tentennare. E il maestro lo sprona. “Inspira, prendi fiato, alza il tono”. Armando interpreta con una certa agilità Virgilio soprattutto perché la parte è più breve.
Sono di là, nello studio, che recitano di fronte al maestro elementare. La madre ode le voci mentre nel corridoio lustra le maniglie delle porte. Andranno tutti insieme alla manifestazione, compresa la zia Claretta che ha cucito i costumi. Pier Costante dovrà calarsi dentro una sorta di tuta mimetica, una lingua color rosso fuoco a due punte.

Raimondo Vinciguerra è rientrato con la motoretta nuova.
La madre non ha più bisogno di mettergli nel piatto la cipolla e il pane per la cena, perché lui ha già mangiato fuori. Adesso ingrassa e fa provviste di sigarette.
Ha depositato la motoretta dietro la stalla e poi è salito in camera con un pacco.
Agostino lo raggiunge e lo sorprende mentre si prova una camicia nera davanti allo specchio incrinato dell’armadio.
-Che fai?- gli chiede.
-Non lo vedi? Mi cambio- risponde Raimondo, spingendo furtivo qualcosa dentro una borsa.
Agostino lo guarda diritto negli occhi.
-Dì la verità! Vai con quelli adesso?!-
Raimondo gli lancia uno sguardo beffardo.
-Caro mio, se non ci si arrangia di questi tempi!
-E come ti arrangi, come ti arrangi tu?- incalza il fratello.
-Non t’impicciare, moccioso. Sono cose da grandi!- risponde Raimondo passando il pettine tra i capelli unti e scuri.
Agostino fa dietro front e scende le scale.
Raimondo torna a rimirarsi allo specchio e immagina.
Sarà un gran giorno. Il giorno della riscossa. Lui raggiungerà la colonna guidata da Dino Grandi che viene da Bologna. E marcerà, marcerà insieme agli altri, tutti con la camicia nera e con gli stendardi. La fila si unirà a quella di Ferrara. Saranno in tanti e punteranno su Ravenna.
Devono far vedere all’Amministrazione Comunale, sempre ossequente alle idee mazziniane, che sta per iniziare una nuova era. Devono dimostrare che non c’è spazio per le istanze socialiste, che il popolo ha bisogno di essere redento e guidato. Spetta a questa nuova classe dirigente procedere alle celebrazioni, tanto più che ha la benedizione del Vate .

Ravenna, 13 Settembre 1921.
Una gran folla si assembra davanti alla tomba di Dante Alighieri e nelle Piazze vicine. Molti visitatori sono giunti da diverse parti. C’è persino uno studioso inglese che osserva la Chiesa di S. Francesco e prende appunti.
Ermete Guaccimanni è tra gli altri del Comitato. La moglie e la cognata, in prima fila davanti al palco allestito in piazza Vittorio Emanuele, lanciano occhiate ai ragazzi, avvolti nei loro costumi, che se ne stanno appartati dietro una tenda e ripassano mentalmente.
“Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande…” “Quando mi dipartii da Circe che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta…” “Fatti non foste a viver come bruti…” “Finché il mare non fu sopra noi rinchiuso… non fu sopra noi rinchiuso… non fu sopra noi rinchiuso”.
Improvvisamente, il naturale movimento della folla viene sconvolto. Una calca disordinata ingrossa le vie. Le camicie nere aggrediscono i partecipanti. I membri del Comitato e dell’Amministrazione rimangono impietriti.
Laggiù, procede una lunga fila di stendardi sorretti dagli squadristi. Molti abbandonano la piazza. Raimondo, gonfio nella sua camicia funerea, ha preso di mira proprio il visitatore inglese.
La moglie del maestro e zia Claretta sono appresso ai ragazzini: Pier Costante viene liberato dal costume a forma di lingua biforcuta. Veloci prendono la strada di casa.
Non ci sarà nessuna recita. Nessun festeggiamento organizzato dall’Amministrazione ravennate.
Dopo il discorso del sindaco, viene letto un messaggio di D’Annunzio: la massa dei sostenitori plaude al grido di eja eja alalà.
Secondo le indicazioni del Vate, l'alloro sulla tomba di Dante è sparso dalla madre di Baracca.
Ermete Guaccimanni, il maestro elementare che ha aspettato per mesi questo giorno, non ha parole: un mare si è rinchiuso sopra la sua testa.
Raimondo Vinciguerra esulta insieme agli altri con la camicia nera: la nuova era è iniziata.




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