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Paolo Poli o la temperanza di essere diverso

Argomento: Teatro

Articolo di Gio-Ma 

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Pubblicato il 31/03/2016 20:13:19

Paolo Poli o la temperanza di essere diverso.

 

Ciao Paolo, o che ci fai tu qui? – gli chiedo incontrandolo in Piazza Sforza Cesarini davanti al ristorante, ch’era già l’ora di pranzo.

Ma sai, anche per me arriva il momento della libagione che bene s’accompagna con l’appetito.

Sto giustappunto per sedermi a tavola, favorisci con me, ho un tavolo bell’apparecchiato dove mi aspettano due ‘ragazze’ che sarebbero ben liete di fare la tua conoscenza.

Intendi due ‘donne’, è così?

Sì.

Oh santo cielo, non vorrei mi scambiassero per una ‘signorina’ di buona famiglia. Vuoi mettere una ragazza irrecuperabile come me (!?).

 

Paolo accettò di buon grado l’invito, soprattutto quando gli presentai mia madre e mia sorella, entrambe ben stagionate, che l’accolsero affabilmente, sorridendogli come fosse un amico di famiglia. Stavo per scrivere ‘un vecchio amico’ per la sua provenienza dal teatro e perché all’epoca, eravamo nel 1979, il suo nome appariva sovente nei programmi televisivi, e tutti ormai lo apprezzavano come si doveva a un ‘attore’ di successo.  Inutile dirvi che il pranzo fu all'insegna della comicità e Paolo fu grande, ci regalò un mini-spettacolo tutto per noi.

 

Se in quel momento gli arridesse il 'successo' non lo ricordo. Il teatro stava conoscendo i primi barlumi di un decadimento che non si è più ripreso. Tuttavia non credo gli importasse più di tanto di apparire tale, quanto di mostrare le sue capacità trasformistiche. Sempre garbato nei modi e di un’eleganza sobria nel quotidiano, Paolo Poli non amava definirsi un ‘attore’ se non nell’accezione di ‘protagonista’ che trovava la propria realizzazione solo sul palcoscenico.

Non era attore dunque, ma ciò che era superava il limite dell’autoironia e della schiettezza, della critica sociale e della religiosità, dei modi di essere della gretta borghesia e della sfacciata nobiltà che, ancora ai suoi tempi, (cioè fino a ieri l’altro), egli rimproverava d’essere puritana e bacchettona, pusillanime e ipocrita, divertita non poco di una ‘diversità’ che spesso fingeva di disconoscere. Protagonista d’una diversità che riempiva i ‘salotti buoni’ e i ‘teatrini colti’ sparsi in tutt’Italia e che, all’occorrenza, Paolo Poli riempiva della sua ‘erudita stravaganza’ in fatto di letteratura, musica, costume e tant’altro, in qualità di intrattenitore e cabarettista, sulla scia degli chansonnier francesi che, forse, gli erano stati maestri.

Ultimamente (dopo circa 40 anni dalla sua ultima apparizione in Tv) lo si era visto nella trasmissione “E lasciatemi divertire” accanto a Pino Strabioli che ne ripercorreva la lunga carriera artistica e nuovamente siamo rimasti abbagliati dalla sua ‘vis comica’ nei panni dell’attempato signore (perché egli lo era davvero), che rifaceva il verso a se stesso, cimentandosi nelle poesie-ridicolose del miglior Palazzeschi così come nel riprendere i ‘vezzi’ delle sue Sante ecc.. Fatto che invece non molti ricordano è la sua versatilità canora dimostrata proprio in quegli anni ‘70/’80 almeno in due spettacoli: “Mezzacoda” di Paolo Poli col pianoforte di Jaqueline Perrotin (Cetra Ipx77); e “Soiree Satie” portati a teatro con le mani di Antonio Ballista e la voce di Paolo Poli su testi e musiche di Erik Satie (Cetra Lpx106), in seguito pubblicati su vinile.

Due ‘pezzi’ da collezione che vale la pena riascoltare per riappropriarsi di quella che ben si può definire l’arte dimenticata del ‘fine dicitore’, la sua poli-vocalità dall’incontenibile ironia affabulatoria, sagace e scaltra, bonaria e caustica, cinica o, forse, soltanto ‘surreale’ che pure ha un suo seguito nell’attualità degli ‘scioglilingua’ rapper. È questa una dimensione che oggi possiamo tranquillamente attribuire al Paolo Poli protagonista di sé, in quanto egli è stato il propagatore dello spettacolo ‘surrealista’ come lo si appellò a suo tempo, volendolo distinguere dal ‘teatro’ vero e proprio, ma che oggi ha ritrovato in parte la sua verve nella comicità ‘deprimente’ – lasciatemelo dire – spettacolarizzata in TV.

Quanti hanno avuto l’occasione (e il privilegio) di aver assistito al suo spettacolo “Mezzacoda”, hanno senz’altro apprezzato la piacevolezza del suo intonare le canzoni più astruse del nostro ‘canzoniere popolare’ come: ‘Soldatini di ferro’, ‘I canarini delle Canarie’, ‘Ziki Paki Zichi Pu’, ‘Con la lampadina’ e la cabarettistica ‘Qualcosa vorrei’:

 

"Qualcosa vorrei"

 

Ich möchte so gerne, cosa voglio non so

qualcosa vorrei, quel che ancora non ho!

I giorni passano, domani che sarà?

Perché nasconderti o mia felicità.

Ich möchte so gerne, ma non so che cos’è

qualcosa vorrei, solamente per me!

Speranze inutili non fatemi soffrire.

Ich möchte so gerne, io vorrei un alcunché.

 

Ma anche l’ammaliante ‘Tua’; la malinconica ‘Vola colomba’, la idiotica ‘Patatina’, la divertente ‘Camminando sotto la pioggia’ rubata a Macario, nonché la demenziale ‘Basta con la canasta’, tutte condite dalla bravura pianistica di Jacquelin Perrotin nella rielaborazione di ‘Variazioni del bel castello’.

 

"Ziki-Paki Ziki-Pu"

 

Ziki-Paki era nata fra gli Indù

era figlia d’un gran capo di laggiù

bella bajadera piccola e leggera

somigliava al padre Ziki-Pu.

Ma un bel giorno (non so proprio come fu)

Ziki-Paki s’è trovata a tu per tu

con un tipo strano (era un italiano).

Ziki-Paki non ci vide più. Disse:

‘Tu proprio tu, o mi baci oppur lo dico a Ziki-Pu’.

Ah Ziki-Paki Ziki-Pu ! l’italiano non ci stette a pensar su

se la prese per la mano, la condusse più lontano

sotto un albero laggiù.

‘Dimmi il tuo nome o bella Indù’.

‘Ziki-Paki sono e non scordarlo più’.

E per meglio ricordar tosto lui si mise a far

ziki-paki ziki-paki ziki-pu. …

Meglio un bimbo mezzo indiano

che passar la vita invano senza eredi su per giù!

E se la moda di lassù

la nazione a popolar non pensa più

si può sempre ricordar la canzon

che suole far ziki-paki ziki-paki ziki-pu!

 

Molti dei brani inclusi nell’album rimarcano quelle che erano le leggi del ventennio e post-war, in cui tra frizzi e lazzi si deridevano soprattutto le imprese degli alleati. Titoli come ‘Mister Churchill come va?’, ‘La sagra di Giarabub’, ‘I lanciafiamme’, ‘La canzone dei sommergibili’, ‘Balilla cuor d’or’, la dicono assai lunga su quello che stava a cuore agli italiani che, in scacco a un nugolo di facinorosi, componevano canzoni ilari, da presa in giro, per primi di se stessi.

Che il ridicolo spesso si scambia con lo ‘stravagante’, il grottesco, il comico; e da stravagante, a strano, a estraneo, a ‘diverso’ il passo è breve. Allora cosa c’era di più ardito per l’arte di Paolo Poli se non il travestimento in cui dimostrare la sua diversità da tutti gli altri, da tutti quei ‘noi’ che l’abbiamo additato ma che, in segreto, l’abbiamo amato. Ed eravamo in molti, come lo siamo ora che qui lo ricordiamo con affetto sincero:

 

“Signora illusione”

 

Quante parole velate di dolce passione

quante lusinghe ci dà, chi ci vuol bene,

ma fra le tante tu sola signora illusione ci dai

la gioia d’amar senza parlar.

Illusione, dolce chimera sei tu,

che fai sognare in un mondo di rose tutta la vita!

Illusione è il profumo che inventa

d’una bocca assetata che credi baciata soltanto da te.

Frasi d’amore, di fedeltà, che a un altro cuore ripeterà:

Illusione, dolce chimera sei tu, che fai sognare,

sperare ed amare tutta la vita!

 

In “Soiree Satie” su testi e musiche dello stesso Satie con la complicità di Antonio Ballista al piano, Paolo Poli si lancia (si fa per dire) nella dinamica futurista del ‘futuribile’, cioè in quella dimensione letteraria che abbinata alla musica, trasforma la singola esecuzione in una ‘lettura-sinfonica’ a se stante, (cacofonica). Come dire, di una piccola guache senza forma, che pure diventa oggetto in astratto, in quanto astorico, ‘altro’ dall’epoca che lo contiene.

Una rivelazione dunque che non può sfuggire, in quanto la musica di Erik Satie fa da trait d'union tra il passato e il presente della storia della musica ed è certamente quella più vicina a noi moderni. Necessita allora e, a maggior ragione, un riascolto attento delle parti selezionate e raccolte in questo disco-spettacolo per assaporare le ‘sottigliezze’ esecutive di Paolo Poli alle prese con i testi di Satie tradotti da Ornella Volta, a sua volta ripresi da i “Quaderni di un mammifero” (Adelphi 1980) e, infine, apprezzare l’equilibrismo ‘jazzistico’ di Antonio Ballista che accompagna i brani:

 

“L’artista deve dare una regola alla sua vita..”, così ha inizio ‘La giornata del musicista’ di Satie inclusa nell’album, oltremodo ‘assurda’ per i suoi contenuti da ‘divertissement’:

 

“Se rido me ne scuso con affabilità”;

“Repsiro con precauzione per paura di strangolarmi”.

In quanto al fumare:

“Fumi, fumi, fumi pure amico mio, altrimenti qualcuno fumerà al posto suo!”

 

Per quanto è possibile attribuire al suggerimento più di un significato, ovviamente non è tutto qui, molto divertenti suonano inoltre: “Je te veux”, “Les fleurs”, “Cose di teatro”, “La Diva de l’Empire”, “Sport e Divertimenti”.

 

Ed ecco che dopo quasi un secolo e una vita costellata di grandi ’follie’ da vero ‘protagonista’ di innumerevoli spettacoli che hanno contribuito a scrivere la storia del teatro italiano, Paolo Poli ha dovuto lasciarci con grande rammarico di tutti noi, per aver perso un ‘artista’ e un ‘amico’, capace di interpretare o, re-interpretare se volete, in modo originale quanto unico non solo i suoi personaggi ma anche tutti quelli: ordinari, diversi e pur sempre nobili, che siamo o non siamo noi. Io voglio ricordarlo così, col magone in gola, quando sul finire di “Al cavallino bianco” (RAI Teche 1960), nelle vesti dell’irresistibile Sigismondo Cogoli, canta: “È Sigismondo il più elegante e il più giocondo di quanti al mondo fanno il nobile mestier …, ed è quello il 'mestiere' di un artista davvero unico.

 

 

Grazie Paolo per essere esistito!


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