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All’osteria della Sora Maria

di Maria Musik
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Pubblicato il 09/01/2010 13:23:06

“Aho, Sora Mari’, l’avete visto come piove? Stamatina mi moje s’è presa ‘no spavento? Pareva che er vento se portasse via casa. Er Tevere, poi, sembra che sta a bollì!”
“Che v’affannate a fa’! Nun l’avete letti li giornali? Er Sinnaco, ieri, ha detto che dovemo da sta tranquilli: tutto sotto controllo!”
“Sotto controllo ‘n par de palle!” disce Mario “Mi’ cognato tiene er barcone ancorato a Ripetta, casa e bottega: n’antro mezzo metro e nun c’avrà più né ‘n tetto né er lavoro!”
“Mi' sorella m’ha telefonato: ha detto che mi madre se la dovemo annà a riprenne: sta ricoverata dalli frati a Tiberina. Dicheno che c’hanno er piano d’emergenza. Ma chi se fida! Puro a L’Aquila ce l’aveveno, o no?”
“Come se disce, Sora Lella mia, fidasse è bene… Che ve posso servì?”
“Me riempite er boccione de rosso, quello dorce, che si me porto a casa mamma, armeno je fa sangue.”
“Eccolo pronto. Fanno cinque euri. E a voi, Sor Mario, che ve porto?”
“’na fojetta e ‘na palletta, come ar poro nonno: ve lo aricordate, poro nonno?”
“Si me lo aricordo? Er mio baccajava sempre perché er vostro nun pagava mai li debbiti. Se vede che è ‘n vizzio de famija! Comunque li tempi so’ cambiati: er vino nun è schietto come quello de ‘na vorta e la gazzosa nun c’è sta più. Mo c’avemo ‘a Spraite!”
Debbotto s’apre la porta e entra uno, vestito come er fijo der cane de ‘n siggnore. Qui nun c’aveva mai messo ‘n piede ma lo conoscemo tutti: fa er deputato.
“Ol Signor, el gh'a inscì de pioeuv!” borbotta “Buon giorno, dove posso sedermi?”
“E me dispiace tanto, Sor Maestro, ma nun ve potete mette a sede.”
Er poretto, tutto frascico, me guarda co’ du’ occhi e barbetta:
“Scusi, e perché?”
“Perché prima de aprì bottega facevo la maestra! Anzi, ho riaperto l’osteria proprio pe’ quello. Nun ce magnavamo cor mensile che me daveno. Mi marito, ‘nvece, porello, ancora fa er professore!”
“Ol Signor, e cosa c’entra?”
“C’entra eccome si c’entra. Nell’osteria mia valgono le regole della scola, quelle der Ministero, perché alla scola ce so rimasta attaccata. Nun li vede li quadri sui muri? Qui nun se bestemmia, nun se dicheno parolacce, nun se butta la robba pe’ tera e nun se fuma. Qui, oltre che a beve, imparamo puro l’educazzione!”
“Scusi ma io non fumo, non ho imprecato né, tanto meno, bestemmiato…”
“Allora se vede che nun legge li giornali e manco li cartelli! Ce n’è uno proprio sulla porta: “In questo locale si serve solo il 30% di stranieri!”
“Ma io sono Italiano!”
“E a me, me scusi tanto, chi me lo disce. Quanno è entrato parlava ‘nantra lingua!”
“Ma che lingua e lingua: è dialetto milanese.”
“Allora lo vede che è forestiero?”
L’uomo spunta de acido.
“E tutti questi signori, invece, da dove vengono?”
“Se guardi intorno che je spiego… semo in diesci: sette semo romani. Er Sor Mario, la Sora Lella, Richetto, Augustarello, Romolo e io. Gli antri tre so stranieri. Quinni… Mohamed, accompagna er Signore alla porta!”
“Mohamed, MOHAMED?” comincià a urlà er malcapitato “E questo sarebbe romano?”
“E certo ch’è romano: è er fijo de mi fija. Peccato, si nun c’era lui poteva da restà. È er settimo… er settimo Re de Roma, bello de nonna sua!”

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