"...Arcobaleni. Attaccati alle speranze, i bambini gli cercano nei loro cieli e si stupiscono di non trovarli lì, dove avrebbero dovuto esserci. Allora li inventano. Sfoggiano la loro creatività nei disegni. Le piccole dita con le unghie morsicati stringono in tensione la matita. E linei dopo linei sul foglio bianco si stendono le fantasie di luce i colori. Il sole. L’arcobaleno. Il cielo. Mamma e papà. E lì in mezzo ai genitori con i capelli arruffati e il sorriso largo che copre il volto intero ci sono loro. I figli. Respinti. Abbandonati. Scambiati per una bottiglia di alcol. O per qualcos’altro.
Per cosa mi hai scambiato, mamma?
Gridano nei cieli sfaldati dalla solitudine la loro domanda e trepidanti, col cuore in mano, attendono amore. Un piccolo gesto che sia per loro. Soltanto per loro.
I bambini attendono. Tutti. Allo stesso modo. Anche quelli che fingono indifferenza, attendono. Anche quelli che non sanno di attendere, attendono. Non si trovano da nessuna parte porte più guardate, implorate, sognate, spiate di quelle di un orfanotrofio, perché la porta è l’unica che può portare un giorno la risposta all’attesa. Lo sanno tutti lì, dentro. Lo imparano con il cuore. Ad ogni cigolio di cardini decine di cuoricini vibrano e gli occhi cercano, impazienti e speranzosi, nel varco dell’uscio che si allarga qualcuno da amare.
«Sei la mia mamma?»
E gli ospiti si imbattono in due occhi grandi, quanto il mondo, che implorano di accoglierli.
Mariuccia ha quattro anni, non si ricorda la madre, ma non ha mai smesso di amarla. La vede ovunque e di notte, quando si sveglia, la chiama e stringe al suo petto di orfanella l’unica cosa che ancora la collega a lei – una vecchia copertina di flanella rosa che l’avvolgeva, quando è stata abbandonata. Sulla scalinata della chiesa.
Le manine magre, di un bianco trasparente, come la porcellana azzurrina, si aggrappano alle pieghe dei vestiti degli ospiti, fermi indecisi accanto alla porta, mentre i piccoli cuori battono, si accavalcano in palpitazioni frenetiche in speranza di essere notati e scelti. E se la giornata è generosa e concede un abbraccio anche a qualcuno di loro, il fortunato si abbandona felice con tutta la fiducia che possiede, come se volesse rimanere attaccato per sempre al petto che lo accoglie in quel momento, così com’è, senza rimproverargli nulla.
«Sei la mia mamma?»
Un lamento leggero, appena percepibile si intromette fra i pensieri dell’elegante ospite che indecisa, quasi intimorita si è fermata sulla soglia della grande stanza. Abbassa lo sguardo. Una bambina dai capelli neri, o forse biondi, o forse ancora rossi, come il fuoco, non si capisci, la testa è pelata, liscia e lucida - che importanza ha alla fine in colore - le si piazza davanti. La donna sussulta, presa alla sprovvista e per l’abbondanza delle emozioni, che la invadono, non ce la fa a metterla a fuoco tutta per intera, affonda nel cristallo puro e lucido di due occhi teneri. Tenerissimi. Sussulta. Come risvegliato il cuore comincia a pulsare con forza, con passo veloce, da tempo smarrito. Lei si mette una mano sul petto - aveva dimenticato i fremiti che poteva provocargli uno sguardo. O forse non gli ha mai provati.
Amore! Sono gli occhi più belli che abbia mai visto, senza alcun dubbio. Pensa la donna, ne è convinta. Qualcosa di caldo, simile ad un desiderio o forse ad un sogno l’avvolge. Un desiderio vorace, mischiato alla speranza. Un desiderio a cui non ha mai voluto dare ascolto, fino a quel momento.
«Amore!» esclama gioiosa a voce, già trasportata, tutta presa da un entusiasmo fanciullesco che le gonfia il petto. Si inginocchia accanto alla bambina e si lascia abbracciare. Ma come fanno due manine così piccole, ad esprimere tutto questo amore? Che più dura l’abbraccio, più diventa forte.
«Sei la mia mamma, vero?»
«Mariuccia, lascia in pace la signora, non importunarla.»
L’educatrice corre in soccorso, tira la bambina per mano.
«Scusi tanto, signora, l’insolenza della bambina. Lo fa con tutti, sa come sono i bambini qui.»
«Non si preoccupi, tutto bene», mormora appena l’ospite, quasi con imbarazzo. Si stacca malvolentieri da quelle manine e lascia andare via la bambina. Ma mentre si allontana, senza quel corpicino al seno si sente scoperta, come senza pelle. Estremamente confusa, la donna non sa come definire il sentimento che la trabocca. Deve pensare, ha bisogno di tempo per metabolizzare. Evita apposta di guardare nella direzione della bambina, mentre con un finto distacco la mano allunga un cioccolatino - ha la tasca dell’impermeabile piena. La bambina l’afferra al volo, golosa, un tremito attraversa il suo volto e lei si stringe in un groviglio di vestiti fuori misura per il suo corpicino magro, ma lo sguardo resta inchiodato in una supplica fissa dentro il cuore della donna.
Sei la mia mamma?
Mi vuole! pensa la donna. È lei! Amore mio!
Le palpebre sbattono incapaci di mascherare la sorpresa. E il cuore si dilata incredulo, la faccia - in un sorriso gratificante. Sotto lo sguardo della bambina la donna si sente già più bella, più affascinante. E anche più donna. Si sente materna.
I ghiacciai della solitudine che la circondavano fino ad un momento prima già si sciolgono. Lei lo avverte con tutto il suo corpo. Che bella sensazione! E si sente già pronta a tutto pur di conservarsela.
L’affetto riempie di contenuto il respiro, filtra i pensieri rendendoli puri, guarisce le ferite e sbiadisce le tenebre. La gioia la spinge a filosofare.
Era arrivata all’orfanotrofio senza troppe aspettative, più che altro spinta dal desiderio di agire, di fare qualcosa per sconfiggere il malessere che la rodeva dentro da tempo e ora il sereno di questa pace imprevista, che sorge in fiotti dalla piccola orfanella e la investe in pieno volto, le sembra un dono, ancora più caro, perché immeritato, pensa. La gratitudine le illumina lo sguardo e lei risponde con un sorriso al richiamo della bambina.
«Tornerò. Tornerò ancora!» promette e sa già che non potrà fare altrimenti. In un modo ignoto lo intuisce anche la bambina. Il rosso della piccola bocca si schiude in un cuoricino, gli occhi smaglianti, lo sguardo languido e tenero. La bambina annuisce con la testa. Si fida, come se vedesse già, in anticipo la traiettoria del suo destino, che cambia direzione..." (frammento dal libro ALTALENE DI NEVE)
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