Maura Potì è architetto, nata a Brindisi, vive e lavora a Bari. Così si legge nella terza di copertina: “La sua esperienza poetica nasce sul web, prima modalità di scambio letterario con altri scrittori, per soddisfare un’insopprimibile necessità di condivisione dei suoi scritti. Apre anche un blog con l’intenzione di coinvolgere nella sua ricerca espressiva artisti di ogni forma d’arte, ma presto non resiste al fascino della carta stampata e decide di percorrere la strada della pubblicazione.” Il suo primo libro è del 2009, Tra respiro e sospiro, Aletti Editore.
Un’autrice, quindi, rappresentativa di una esigenza comune a molti, anche di tempi diversi, ma che negli ultimi anni, grazie a internet, soddisfa la necessità insopprimibile di condivisione dei propri scritti, ed è facile, nel via vai di informazioni sulla rete, trovare indicazioni di editori che possano affascinare con la loro carta stampata. Un percorso lecito, plausibile, intrapreso con convinzione di necessità.
Ebbene queste sono le basi di partenza delle quali, con onestà, la Potì ci rende partecipi. Non sappiamo però, dalle sue parole, la necessità che la spinge quale senso ontologico abbia, quale sia il volto dell’esigenza profonda che la spinge a voler scrivere e a scrivere proprio in poesia. Tuttavia, dalla lettura di questa sua seconda raccolta di versi, si evince una poetica, una radice che unisce alla terra della tradizione poetica, la chioma dell’esigenza di condivisione espressiva rivolta al cielo. La poesia della Potì segue i percorsi della sua vita quotidiana, delle sue esperienze affettive ed emotive rimescolate nel vento, nei fiori, nelle ombre, nel mare, nelle nuvole, nelle foglie, nei nastri d‘argento, tra le dita, nell’uva passa, nei catini, nei colori, nelle labbra e nei capelli, nel tramonto, nella luce, nella fiamma, eccetera, insomma la sua è una poesia delle emozioni e delle sensazioni che esplodono sugli oggetti e le circostanze e grazie ad essi tornano amplificati e poetizzati, se così si può dire, al lettore. Nella sua poesia non c’è fretta di raggiungere una conclusione, ma semmai la lentezza del volersi spiegare assaporando il fluire di sé stessa verso l’altro da sé; anche se qualche volta tale flusso è perentorio, deciso, quasi tagliente.
[…]
Serragli il becco con fermezza
e lascia che parli il cielo con la luna:
la mia mano sarà ben stretta nella tua
quando il furioso vortice del silenzio
attraverserà la nostra mente.
Non serve opporre resistenza,
lascia che passi come una cometa:
nell’etere perderà subito la coda
e s’alzerà polvere dalla chioma.
Potrai aprire i tuoi occhi nei miei
e in un istante sarà tutto finito.
[Da La cerimonia del silenzio, pag. 21]
E tu allora dimmi:
cos’è la solitudine
se non questo silenzio
di voci inascoltate?
[…]
[Da Ripensamento, pag. 25]
Il parere personale, ovviamente, è che il soffio della poesia sia passato attraverso la penna della Potì, di strada ne ha fatta e gliene aspetta. Devo ammettere che nella raccolta trovo perle di scrittura a macchia i leopardo. Pertanto il lavoro da fare sarebbe proprio quello di rendere uniforme questa sapienza e scrittura, via le macchie di leopardo insomma. Ravviso cioè la necessità di un ulteriore lavoro di pulitura dei testi, facendo moltissima attenzione a non cadere nella banalità del troppo detto e della eccessiva aggettivazione, suggerisco inoltre un più attento utilizzo delle metafore evitando di accostare troppi aggettivi a troppi nomi in pochi versi. Attenzione inoltre al voler creare frasi ad effetto, talvolta è meglio dire meno, considerando maggiormente la musicalità, lavorando sull’asciuttezza dei versi. Ad esempio, a pagina 76, la poesia Himalaya, l’ho letta e riletta, l’ho trovata molto bella, ma l’avrei ridotta di molto, limandola non avrebbe perso di significato ma avrebbe acquistato maggiore incisività – ma è un parere personale. Non me ne voglia l’autrice, come sempre sono suggerimenti di un lettore, non di un critico, un lettore che riconosce, come già detto, una enorme potenzialità nell’autrice, mai sedersi sugli allori e sempre ricercare, mettersi in discussione e semplificare.
Finisco proponendo, da pagina 48, una poesia che a me è molto piaciuta:
Viaggio a ritroso nel tempo
E passi un dito sulla pelle
sfiorando i lembi rosa
di cicatrici gemelle
- inferte per leggerezza
più che per crudeltà –
Non ho la stessa tua destrezza
e con il soffio di un respiro
solletico la labbra chiuse
- come in una carezza –
a schiudere un sorriso.
Quel treno si è perso
nel sottovuoto di un bicchiere capovolto
tra azoto liquido e ossigeno sottratto.
Ricordi? Divampava un incendio
e squadre di volontari in doppio petto
domarono l’assedio con prontezza.
Ah, quei capelli tra le nuvole,
li riconoscerei tra mille
- e a mille altri mirerei al bersaglio –
per rompere catene di assiomi
e strappare ogni inutile bavaglio.
Non dire niente
- nulla è quel che sembra –
il vento è l’occasione persa
che soffia appena il treno passa.
Lascia idranti e l’elmetto:
attenderò paziente sul binario
che si sviluppi un altro incendio
- non porterò neanche l’ombrello –
sarà la pioggia a spegnere l’inferno.
Buona lettura.